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Ho compreso quanto grave stia diventando il mio disagio questa mattina, entrando in ufficio e salutando cortesemente Daria, già seduta alla scrivania, immersa come al solito nella lettura delle sue carte; ero certa che non avrebbe neppure notato il mio arrivo, invece lei ha sollevato di botto il volto dal computer – un volto inquisitore, che non lasciava presagire nulla di buono.
“Liz” ha detto, “che ci fai qui, per l’amor del cielo? Non avevi preso un giorno libero?”
E io ho realizzato che era vero, avevo proprio chiesto un permesso. Così ho capito fino a che punto sono distratta, quanto io non sia più io. Daria ha promesso di non aprire bocca sull’accaduto e io mi sono dileguata prima che qualche collega chiacchierone notasse la mia presenza. In genere sono molto meticolosa, anche perché queste bizzarrie non sono viste di buon grado; e se qualcuno andasse a riferire? Perciò sono corsa alla macchina e ho ingranato la marcia.
A noi del Rango Quattro è permesso guidare e perfino possedere un’auto, l’unico neo è che non siamo ancora riusciti a spuntarla sui parcheggi. Siamo una Classe agiata, vantiamo molti privilegi, ma il posteggio privato è prerogativa delle Classi Uno, Due e Tre. Comunque non m’importa, il vero guaio sarebbe dover aspettare ore un autobus che non passa mai come erano costretti a fare i miei – ho questa immagine polverosa piantata nel cervello, mio padre e mia madre in piedi sulla pensilina, in coda dietro a tanti altri sventurati come loro. Per fortuna a me è andata diversamente.
Vorrei solo liberarmi di questa angoscia maledetta. Quando ero bambina mi capitava spesso di non riuscire a prendere sonno, oppure di svegliarmi irrequieta, in preda all’ansia per il compito che avrei affrontato in classe. In quei casi mia madre, che era una donna semplice e suggeriva rimedi semplici, provvedeva a farmi distrarre spostando la mia attenzione su qualcosa di concreto – di solito iniziava a contemplare le mie mani, obbligandomi a fare lo stesso: insieme descrivevamo a voce alta il disegno unico dell’epidermide, le venature azzurrognole, le unghie lucide e ben curate. Funzionava sempre, il cuore smetteva di battere a mille, il respiro si faceva più regolare.
Oggi, quando qualcosa mi turba, faccio lo stesso: focalizzo lo sguardo sulle dita smaltate e ne elenco le caratteristiche. Ma stavolta le mie mani si stanno rivelando di scarso aiuto.
Dietro consiglio di Milo ho chiamato in ufficio per avvertire che non mi vedranno né oggi, né domani. Staccare la spina mi farà bene, devo prendermi maggior cura di me stessa: il riposo può essere la chiave per liberarsi di questo continuo senso di oppressione, e forse mi scorderò di mettere in dubbio il posto in cui mi ha collocata il mondo. Anche Milo mi ha sgridata: “Lavori troppo” ha sentenziato, “è la stanchezza a peggiorare la tua ansia. Adesso ci penso io a coccolarti un po’.”
Così si presenta alla mia soglia, accompagnato dal profumo di caffè e di cornetti alla crema che cerca inutilmente di nascondere dietro la schiena - ma io lo sapevo che avrebbe fatto una puntatina dal mio pasticciere favorito. Da un po’ di tempo gli ho consegnato le chiavi dell’appartamento in cui vivo, perciò si affaccia direttamente alla camera da letto, sfoderando un sorriso accattivante: “Non ti sognavi un tale servizio, giusto?” scherza baciandomi sulla guancia. Lo guardo con affetto.
Il resto della giornata scivola via con dolcezza, il sole basso proietta lunghe ombre sul vialetto. L’aria è ancora tiepida, le risa dei bambini nel parco rotolano fino a me dalla finestra aperta. Pian piano le ombre di ieri si dissipano e l’unica cosa su cui riesca a concentrarmi è l’ottima voce di Milo che canticchia spensierato una delle sue creazioni. Gli sono infinitamente grata per la vicinanza e la cura che dimostra, mi spiace tagliarlo fuori da una parte tanto importante dei miei pensieri, ma suppongo non ci sia altro da fare. Almeno per il momento.
Terminato il rito della cena, mega busta di popcorn alla mano, Milo compare sulla porta del salotto col film di guerra che abbiamo noleggiato nel pomeriggio; io non sono in vena, ma non faccio obiezioni perché so che lui ci tiene – e grazie alle sue premure se lo è assolutamente meritato. Il mio animo romantico preferirebbe pellicole più delicate e meno truculente, qualche bell’episodio d’amore sdolcinato, ma è raro trovarne in giro; poiché si suppone che unicamente narrazioni storiche o culturali ci appassionino, tutto il resto è bandito dalla nostra Zona.
Ci accoccoliamo sul pouf a due posti, vicini vicini, energicamente avvinghiati. Per un po’ mi sforzo di seguire gli attori e le loro traversie, ma poi, mentre le truppe danno battaglia senza sosta e sullo schermo divampa un incendio spietato, mi assopisco tranquilla sulla spalla che Milo mi offre. Quando sono un po’ giù, è sufficiente la sua presenza a rassicurarmi.
Come inizia ad albeggiare, Milo mi tira giù dal letto con soave determinazione. Infila in bagno per rinfrescarsi e radersi, e dopo un po’ riappare, all’evidente ricerca dei propri pantaloni. Ancora assonnata di brutto, stento a comprendere cosa gli passi per la testa; ma quando mi invita a seguire i suoi gesti, mi affretto ad accontentarlo. Mentre aggancio la camicetta, lui si volta, mi vede e storce il naso, suggerendo di optare per qualcosa di più comodo. Lo guardo spazientita e lui sorride: “D’accordo, fine dei misteri. Ho prenotato due posti all’Ora di Rilassamento; perché non indossi una t-shirt e quei leggins bianchi che ti fanno un posteriore da paura?”
L’Ora di Rilassamento – in programma ogni giorno in tutte le sale da ginnastica della Zona, gratuita e, sebbene non obbligatoria, caldamente raccomandata - è suddivisa secondo logiche precise: si parte con gli esercizi per regolare il respiro, si prosegue con tecniche meditative di base, si approda infine a pratiche via via più articolate. Lo scopo della faccenda, subito intuibile, sta nel diminuire i livelli di stress ed equilibrare corpo ed emozioni del soggetto in questione.
Non so se ho voglia di dedicarmi a tale attività, ma vale la pena tentare: sento raccontare spesso dell’Ora di Rilassamento, di regola recensita con ottime critiche. Così mi affido al brillante intuito del mio ragazzo e trenta minuti dopo varchiamo insieme la soglia della palestra più vicina.
L’ambiente è lindo e modernissimo. Le pareti sono state pitturate con una tenue tonalità di azzurro e in sottofondo odo una melodia appena percepibile, in linea col lavoro che andremo a svolgere. Io e Milo ci presentiamo, riempiamo un modulo per l’iscrizione, prendiamo posizione in prima fila, davanti all’istruttore. Scortati dalla sua voce, le palpebre abbassate, gonfiamo e rilasciamo il torace, estraniandoci dal contesto, ponendo l’attenzione sul qui e ora. Sotto i piedi scalzi sento le piastrelle, fredde e lucide contro la mia pelle; immagino di trovarmi all’aria aperta, in un immenso parco verde in cui radicarmi al suolo, in fusione totale con la madre terra.
Al termine della lezione un vigore inaspettato mi sorge in petto. Sono più presente a me stessa adesso, più vivida, come se un vignettista, disegnandomi, avesse usato una mina HB anziché un lapis H.
Apro gli occhi e trovo quelli di Milo nei miei. Rido. Se l’affetto fosse una polverina dorata, preziosa e da pesare in capienti fustini, spaccherei la bilancia controllando i chili del bene che gli voglio. “Pur di accompagnarti qua ho costretto i ragazzi a saltare le prove. La sala era già stata pagata per intero e non è rimborsabile. Vuol dire che, in un modo o nell’altro, dovrai risarcirmi tu, bellezza” mi informa, dandomi di gomito, e io gli mollo un pizzicotto divertita.
Milo è un gioiello raro, sulla sua lealtà si può sempre contare. Con lui accanto sono immensa, tanto che sconfiggerei mostri alati e draghi sputafuoco: devo solo impegnarmi a non perdere questo mood - o, almeno, a mantenerlo fino al mio ritorno in ufficio, previsto per venerdì.
Siamo tutt@ un po' Liz!! Grazie lettura piacevole e molto scorrevole!!
RispondiEliminaGrazie di 🩷 siamo davvero tutti un po' Liz..
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