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La distopia immagina un futuro – o un presente alternativo – peggiorato rispetto alla realtà in cui viviamo. È, in un certo senso, l’opposto dell’utopia: invece di descrivere una dimensione ideale e perfetta, ci catapulta in un mondo dominato dal pessimismo, in cui la società si è involuta verso direzioni inquietanti.
I racconti e i romanzi distopici presentano spesso tratti comuni: un governo totalitario che opprime e controlla la popolazione, una sorveglianza costante con conseguente perdita della privacy, un progresso tecnologico spinto ma alienante. In tali contesti troviamo, inoltre, una netta divisione in classi - tanto definitiva da limitare completamente mobilità e legami affettivi.
Anche la violenza e i conflitti apocalittici sono ingredienti che ricorrono in questo tipo di narrazione, ma sono elementi che io non tratto nei miei scritti.
Queste storie, però, non sono solo cupo intrattenimento, ma hanno una funzione ben precisa: servono da monito. Portando all’estremo tendenze reali della società e della condizione umana, ci costringono a riflettere sul cammino che vogliamo percorrere come collettività… e anche come singoli individui.
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