sabato 7 giugno 2025

7. CAPITOLO SECONDO

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Al mio rientro in ufficio, il venerdì, noto una strana patina di eccitazione: superiori che confabulano riuniti in piccoli gruppi, colleghi che non la smettono di darsi una sistematina davanti allo specchio, sbuffi impazienti rivolti ai cellulari. Difficilmente un tale subbuglio può dipendere dal weekend imminente, perciò mi rivolgo a Daria per capirci qualcosa. 
“Sai” fa lei con aria da cospiratrice, “è per quel tipo famoso, quello dei quadri astratti, com’è che lo chiamano? Ah, sì, il Maestro. Cerca qualcuno che lo recensisca in maniera…” s’interrompe, le manca la parola “vogliamo dire suggestiva?”
A volte, ma solo a volte, gli artisti di un certo livello chiedono – e ottengono – una presentazione scritta da uno di noi. Normalmente si arrangiano da soli, ma poter vantare un trafiletto firmato di pugno dalla Classe Quattro fa sempre un certo effetto. È una questione di prestigio. In questo caso le Autorità avranno aderito all’istanza dopo aver valutato la fama del genio in questione.  
La notizia mi coglie impreparata, mi delizia e m’intimorisce al tempo stesso: che sia la risposta alle mie preghiere, l’occasione per uscire dall’isolamento in cui viviamo? Dopo il diploma non ho più avuto foto o disegni sottomano, dai sedici anni in poi il mio Inquadramento in una Classe che concepisce solo parole è stato totale e non ho mai avuto la fortuna di lavorare con fiabe o testi scolastici – dove almeno è concessa qualche illustrazione. Qua non arrivano riviste, considerate futili, e gli unici quotidiani che vediamo non riportano immagini. Proporsi per questo incarico significa abbandonare la nostra routine di prigionieri, disporre di una scusa per visitare un’altra Zona. Stento a credere di poter avere tanta fortuna. Torno a interrogare meticolosamente Daria: hanno assegnato l’incarico? Ci sono richieste particolari? Lui è già qui? No, no e poi ancora no. Conviene muoversi, però, se voglio farmi avanti.  

Al tramonto, seduta in veranda accanto a Milo che prova due accordi, allungo la mano a cercare la mia birra. Sono un po’ contrariata: mi aspettavo un’accoglienza più calorosa per le mie novità, in fin dei conti sono davvero grosse. Il contatto fra Ranghi è inusuale e in genere produce forte curiosità, invece lui rimane imperturbabile: o meglio, si è vivamente complimentato per il mio successo, ma si è mostrato piuttosto distaccato al pensiero del mio incontro con un grande artista. “Non abbiamo nulla da invidiargli, ognuno ha il suo campo. Anche noi siamo artisti, e bravi per giunta” e ha scosso la testa, come se coi miei discorsi stessi in qualche modo infangando l’onore e l’immagine della mia Classe di appartenenza. Stavo per aprire bocca, ma lui è stato lesto nel correggere il tiro: “Però non avevo dubbi che avrebbero scelto te.”
E infatti è proprio così, alla fine l’ho spuntata io. Tra due giorni ho il primo incontro con il Maestro, il che significa trascorrere le prossime quarantotto ore piegata sui libri: se voglio svolgere al meglio il mio compito, ho bisogno di documentarmi bene. L’ufficio mi ha fornito uno spesso volume un po’ ingiallito, miracolosamente provvisto di figure, dalle cui pagine mi osserva severo il volto dell’uomo che mi troverò di fronte lunedì.

China sul tavolo da lavoro, sono talmente presa da non accorgermi dei passi di Milo in avvicinamento: “Non vieni a letto? È tardi”, poi posa una mano delicata sulla mia spalla e con l’altra solleva il tomo che studiavo con attenzione. Sulle spine, guardo di capire i suoi pensieri, ma non c’è motivo ch’io mi sforzi, non ha intenzione di farne mistero: “Stai esagerando, Liz. Va bene metterci impegno, ma non credo tu debba continuare a finirti gli occhi. Qualcuno potrebbe leggerci quello che non c’è. Non impicciarti troppo degli altri Ranghi, e se si pensasse che non ti basta la Classe che occupi?” 
Chiude il libro, lo abbandona sulla scrivania, mi tira a sé con tenerezza. Indugio con la mente sulle sue parole e per un attimo ho paura: Milo mi ama, di questo sono certa, ma potrebbe non essere disposto a restare al mio fianco. Non se il prezzo da pagare si facesse d’un tratto troppo alto. Per chi teme veramente, per me o per se stesso? 
Sorride divertito del mio broncio, i denti bianchi e regolari che spiccano nell’oscurità. Mi bacia con ardore, il suo tocco mi risveglia; lo seguo lentamente fino alla camera da letto.

Per il mio tredicesimo compleanno mia madre si lasciò convincere ad assecondare un antico capriccio: accompagnarmi dall’indovina del nostro isolato per farmi leggere i fondi del caffè. 
Era un pensiero che mi portavo dietro da quando ero piccola, una fissa sciocca ma al contempo innocua – vedere la maga era considerato un passatempo, un po’ come andare al circo: sapevamo benissimo che il futuro era già sancito, nessuno s’illudeva di poter rimescolare le carte in tavola, tanto meno grazie a una vecchia semianalfabeta. Fino a quel momento, però, i miei non avevano voluto portarmi da lei, figuriamoci firmarmi il permesso di farle visita da sola! La mamma temeva che io, non ancora inquadrata in una Classe definitiva, avrei finito per mettermi in testa delle idee. Ma adesso, con la decisione della Commissione nero su bianco, il motivo principe della sua resistenza veniva meno e nel giro di breve riuscii a ottenere il sospirato consenso.
Quel pomeriggio pioveva a dirotto, ma mi rifiutai di sentire ragioni, trascinandola fuori di casa senza cerimonie. La veggente abitava in fondo al quartiere e quando entrammo aveva già il fornello acceso. Ricordo altre tre persone che aspettavano in silenzio, sedute su un divanetto triste e consunto, ma lei fece un cenno proprio a noi, dichiarandosi dispiaciuta per tale prolungato ritardo. 
“Che ritardo?” cominciai sorpresa, ma mia madre mi zittì al volo con un’occhiataccia, mentre le rughe attorno alla bocca della donna si increspavano nel sorriso di chi la sa lunga: “Da molte lune desideravi incontrarmi, non è vero?” mi chiese col suo tono mistico. 
Di quella esperienza conservo memorie vaghe e frammentarie, impregnate di vapori abbondanti e odori forti che, oltre a segnalare un elemento spirituale in mezzo a noi, mi stordirono oltre ogni dire. Tuttavia rimane ben chiara la descrizione che la maga fece della rimanenza polverosa del mio caffè: un uomo alto, intento nel suo lavoro, rapito dai toni accesi della sua tela. Nell’udire ciò, mia madre scoppiò a ridere di cuore, senza preoccuparsi minimamente dei sentimenti della donna. Poi si rivolse a me: “Lo vedi, tesoro? Non sono scempiaggini? Sei stata inserita nella Classe Quattro, cosa faresti con un pittore? Non c’è verso che vi incontriate.”

Per lungo tempo questo episodio è rimasto nei recessi della mia mente, senza affiorare mai alla coscienza. Ma adesso torna e ritorna come l’onda sul bagnasciuga: che stia per scoprire se la vecchia aveva visto giusto?
Sono passati circa vent’anni, eppure conservo ancora il rametto di agrimonia ricevuto in quell’occasione: “Amuleto contro le influenze esterne” aveva detto, porgendomi la piantina e chiudendo le mie dita a pugno, “ti aiuterà a connetterti con il tuo io autentico e ti proteggerà dalle maschere imposte.”
Già. Come se, qui da noi, l’io autentico contasse qualcosa.
Forse farei bene a rintracciarla, per cavarle qualche altra informazione, qualche consiglio. Di norma non vado al mio vecchio quartiere, ma chi oserebbe negarmi l’accesso? Sebbene non ci viva più e ormai non appartenga alla Classe adatta, è da lì che provengo e nessuno può impedirmi di circolare nella Zona. Ma una volta sul posto avrei comunque le mani legate: quelli del mio Rango non fanno visita alle veggenti, non posso suonarle il campanello senza destare sospetti. Anzi, dubito che mi riceverebbe, a rischio che qualche spione denunci la cosa alle Autorità. Senza contare che, se già era in là negli anni quando io ero ragazzina, ho poche speranze di trovarla a casa; farei meglio a guardare al camposanto. 
No, faccio da sola. Se le tracce di caffè dicevano il vero, tutto andrà per il meglio, liscio come un tovagliolo stirato di fresco. Non avrò bisogno di conferme esterne: quando m’imbatterò nel mio destino saprò riconoscerlo senza sforzo. 

2 commenti:

  1. Liz di Bianco conduce una vita pulita e piacevole. Le è stato assegnato un bel lavoro, una bella casa, una tranquilla quotidianità, un bel buon ragazzo, perfino. O almeno così le pare quando guarda con gli occhi. E non impara a sentire con l'anima. È allora che Liz di Bianco sprofonda nella distopia. Romanzo da leggere oggi! Povera Liz :-)

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  2. A volte ciò che appare perfetto fuori non basta a farci sentire vivi dentro... ed è lì che ha inizio il Viaggio... grazie Manfredi :)

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34. CAPITOLO QUINDICESIMO

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