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Milo compare equipaggiato con sorriso accattivante e fiorellino colto di fresco. È evidente che nel leggere le mie parole ha equivocato, sperando in una sorpresa; ma non appena gli pianto addosso gli occhiacci più cupi di cui sono capace, il sorriso evapora e lui si affretta confuso verso l’angolo in cui sono seduta: “Già a quest’ora?” domanda indicando col mento la pinta che ho davanti, ed è chiaro che il buio in cui brancola sta aumentando. Non bevo mai prima delle cinque.
"Non sono ubriaca” biascico impermalosita per tutta risposta.
“Lo sarai presto. Che succede?”
Eccoci al dunque. Non ho preparato alcun discorso, non so neppure io come voglio affrontare la faccenda, ma la birra che naviga nel mio stomaco digiuno mi rende bellicosa.
"So tutto di te e Lunetta” sbotto senza preamboli.
Milo si appoggia allo schienale e si massaggia le tempie, genuinamente perplesso. “Ma di che cavolo parli?”
"Delle sue visitine in sala prove, del fatto che da mesi ti sta tampinando, delle vostre manie di controllo sulla mia vita. Non so quali trame mi abbiate nascosto, ma ti darò un’informazione: non ho tre anni.”
“Ti ringrazio per le delucidazioni sull’ufficio anagrafe, ma tu farnetichi. È venuta a trovarmi a lavoro e non vedo che male possa fare. È soltanto in ansia per te. Non ha tentato nessun approccio indiscreto, se a questo ti riferisci, ci sono almeno dieci persone che possono confermarlo.”
"E allora come mai tanta segretezza? Perché non ne sapevo niente?”
"Perché è stata lei a chiedermi di tacere. Ha detto che, considerata la situazione fra voi, non voleva che tu fraintendessi le sue intenzioni. Lì per lì la ritenevo una preoccupazione esagerata, invece pare che avesse ragione. E, francamente, renditi conto che non siamo noi a traboccare di segreti.”
Rimango a bocca aperta. Questa è proprio bellina, cos’è, rigira la frittata?
Tento la voce più dura che mi riesca, una specie di sordo ringhio animalesco: “Come, prego?”
"Non fare la finta tonta. Messaggi da non si sa chi nel cuore della notte, menzogne riguardo alla cura del dottore, continue e pericolose valutazioni a proposito del Sistema. Ti è venuto in mente che rimanerti accanto può condurci tutti alla più vicina Struttura? Certo che no, la grande Liz non perde tempo a occuparsi di chi le vuole bene, è troppo presa dai suoi drammi personali! Ma incredibilmente, sebbene tu ti comporti da egoista, nessuno si è tirato indietro: per cosa, dico io, per prenderci pure degli stronzi? Che sciocchi.”
Nonostante il lavorio alcolico del mio cervello, sospetto che nelle opinioni di Milo ci sia almeno una punta di ragione, ma la cocciutaggine di cui sono preda non mi permette di riconoscerlo ad alta voce. Perciò riparto all’attacco, tentando una strada diversa: “Beh, avete preso la palla al balzo, mi pare! Lo so da un secolo che Lunetta voleva metterti le grinfie addosso, suppongo ce l’abbia fatta!”
Vorrei rimangiarmi queste carognate all’istante, non c’è una briciola di vero in ciò che ho detto e lo so, per lui la lealtà è il valore più grande. Ma ormai il danno è fatto e Milo risponde alle false accuse con arguzia superiore alla mia: “Se anche fosse, non vedo da chi tu possa correre a lamentarti: in Classe Quattro, lo sai, la fedeltà non è obbligatoria.” Ciò detto si alza dallo sgabello e si allontana, senza neppure disturbarsi a salutare. Un secondo dopo infila la porta e sparisce sotto l’acqua che nel frattempo ha cominciato a scrosciare fitta.
Chiamo il cameriere e chiedo un’altra doppio malto. L’occhio mi scivola sulla margherita recisa che Milo mi aveva portato, tristemente abbandonata sul tavolo. Sembra perfino star peggio di me. Mentre attacco l'ennesima pinta, mi balza in mente la notte in cui ci siamo conosciuti, una vita fa, durante uno dei concerti organizzati al Temet Nosce. Nonostante l’energia della band la serata non accennava a decollare, tanto che meditavo di svignarmela in anticipo; e lo avrei fatto se non fosse stato per le persistenti occhiate del tipo appoggiato al banco. Coi suoi riccioli ribelli e quel fisico niente male, Milo non ci aveva messo molto a catalizzare la mia attenzione, e in meno di mezz'ora avevo elaborato l’unico concetto che contasse qualcosa: il mio interlocutore possedeva gli ingredienti giusti per farmi innamorare sul serio.
A pomeriggio inoltrato, uscendo dal locale col mio bagaglio più che alcolico, mi imbatto per l’ultima volta nella familiare figuretta sperduta, asfissiata dalla felpa sproporzionata e cupa. È sempre lei, la biondina dalle lunghe trecce, e io sento, al solo scorgerla, un’intima fitta di rimpianto.
In un lampo ne indovino l'identità e mi basta il tempo di un battito di ciglia per pronunciarne il nome… per pronunciare il mio nome. Perché quella sono io, io spiccicata, muscoli e ossa. Sono io com’ero anni fa; è la piccina che sono stata, quella che coltivava con grinta sogni e aspettative, quella che esisteva prima che tradissi me stessa e mi lasciassi assimilare dal Sistema - e che adesso stenta a respirare, gravata com’è da quella matassa di grigia oppressione che è costretta a trascinarsi in giro.
Ho sbagliato tutto, adesso lo so.
Ho sbagliato nei miei riguardi quando ho rinunciato a cercarmi, quando ho smesso di lottare per raggiungere il mio reale posto nel mondo. Mi sono accontentata di navigare in acque sicure, senza mai osare, senza mai puntare a quello spazio chiamato oltre, accidenti a me.
E ho sbagliato nei confronti di Milo. Avrei dovuto puntare ad appianare i contrasti, a risolvere; potevo abbracciarlo e chiedergli di aiutarmi a colmare la distanza che ho creato tra noi - un solco profondo scavato con le mie mani in tutti questi mesi, che ormai ha raggiunto le dimensioni di una voragine.
È tardi per le recriminazioni. Fra tre giorni ho un nuovo appuntamento col medico del lavoro e, comunque vada, stavolta sarò da sola a reggere il colpo.
*
Là fuori c’è il mare. Anche quando non mi affaccio ai vetri ne sono costantemente consapevole. Alle prime luci dell’alba i gabbiani fanno sentire la loro voce e io mi scopro a immaginare l’ampio canale d’acqua che ci separa dalla terraferma e dalla Città, suddivisa in tutte le sue Zone.
Le finestre della Struttura sono alte veramente, proprio come sentivo raccontare da bambina, proprio come ci assicuravano a scuola; durante il giorno inondano di luce l’ambiente asettico, lasciando che entri al suo interno la gioia pulsante del mondo reale, un mondo che qui ci è precluso per sempre. Magari è un trucco per farci crepare d’invidia.
L’aspetto peggiore del doversene restare sprangati fra queste mura è il troppo tempo che si ha per rimuginare. Fa parte della Correzione, suppongo; o è una crudele trovata per punirci? I pensieri, inizialmente delle dimensioni di uno spillo, si gonfiano fino a diventare palloncini sul punto di esplodere; ma il botto non arriva mai, altrimenti, così come sono apparsi, svanirebbero. Al contrario, si espandono fino a riempire ogni fessura, ogni millimetro di cranio disponibile; e fino a farsi insostenibili. Una delle idee fisse con cui imparare a convivere è la vetta raggiunta dall’indottrinamento che subiamo, anche quando ci crediamo consapevoli, anche quando ci pensiamo liberi. Il Sistema ci colloca, ed è così complicato riformulare il mondo in maniera diversa, anche solo dinnanzi a noi stessi. È dura sognare un orizzonte alternativo cui affidarsi.
Le volte in cui riesco a staccare la spina e a chiudere ogni imposta su queste considerazioni, i miei ricordi volano dolorosi verso Milo. Mi sono comportata da perfetta stronza nei suoi riguardi e me ne sorprendo tanto: non perché io sia una campionessa di moralità, ma è una persona a cui ho voluto un gran bene. E so quanto lui tenesse a me e al nostro sentimento, eppure ciò non è bastato. La mia quotidianità, zeppa di privilegi, non mi è stata sufficiente.
L’altra idea martellante con cui mi addormento ogni sera è giustamente Jan: Jan che non sarà mai al mio fianco, Jan che non so che fine abbia fatto. Abbracciando il cuscino, mi trovo a sperare che tutto vada bene, che possa condurre una vita felice a modo suo. Eppure, mentre lo immagino che dipinge, finalmente salvo alla luce del sole, gli Ausiliari della camerata staccano la corrente senza alcun preavviso; così anche il mio buio interiore si infittisce… ed è tanto denso da assorbirmi, da inghiottirmi.
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Grazie per aver viaggiato assieme a me.
Questa parte della storia termina qui, ma il cammino è ancora lungo: nuove pagine e nuovi intrecci vi attendono all’orizzonte.
Il seguito arriverà… e porterà con sé sorprese che nemmeno io potevo prevedere.
Continuate a seguire Liz nelle sue avventure: non ve ne pentirete 💞
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