domenica 8 giugno 2025

16. CAPITOLO SETTIMO

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Una vibrazione leggera rompe l’oscurità e mi desta all’istante. Le lancette fluorescenti della sveglia indicano le tre passate da quindici minuti. Guardo Milo, che per fortuna dorme come un masso dandomi la schiena: il suo lieve russare mi fa compagnia mentre attraverso la stanza. 
Afferro dal comò il cellulare illuminato; in alto, nell’angolo del display, è comparsa la nota bustina stilizzata, a informarmi che qualcuno mi sta cercando. Il mittente è sconosciuto, ma la corrente che m’invade decisamente non lo è. 
“Che fai?” leggo, domandandomi come diavolo abbia fatto Jan a entrare in possesso del mio numero: sono settimane che non ci vediamo e tutti i rapporti che ho avuto con lo studio sono stati gestiti dall’ufficio, nessuno mi ha mai contattata direttamente - di me non conoscono neppure l’indirizzo e-mail. Poi realizzo che se il mio telefono, come per magia, ha abbandonato la borsa per ricomparire sul tavolo del Maestro, forse il messaggio di stanotte non è poi un gran mistero. Per non fare rumore, mi sposto sul divano in salotto; non voglio disturbare Milo, così come non voglio sentirlo fare domande.
Sospiro e mi accomodo sui cuscini, studio il cielo stellato oltre il vetro della finestra. Rimango immobile per un po’, ma presto un nuovo bip mi obbliga a leggere ancora: “Dove sei adesso?”
Mi faccio coraggio e inizio a digitare. Rispondo che sono a casa, ma non riesco a dormire, poi però mi blocco, incerta su come andare avanti. Scriverei chilometri, parole su parole nella speranza che lui possa conoscermi un po’ meglio. Che delizia sarebbe spiegare ciò che faccio, le cose in cui credo! Vorrei capisse che sono estranea anni luce alla marmaglia schiava del proprio Rango che frequento nel quotidiano.
Invece domando a lui perché non dorma, sentendo la distanza fra noi evaporare per incanto, i nostri pianeti così lontani fondersi in uno stesso universo; assaporo ogni secondo mentre aspetto la sua replica - ma l’agognata risposta non giunge mai. 
Delusa - e un po’ allarmata - torno a stendermi pian piano accanto a Milo, che nel frattempo non si è mosso di un millimetro. Supina, gli occhi spalancati nel buio, fantastico per qualche minuto sulle frasi a effetto che avrei potuto usare. Solo quando spunta l’alba noto, con un brivido, che il familiare russare del mio ragazzo è stranamente sparito dalle tre e un quarto di questa mattina.   

Il lunedì si preannuncia temperato e gradevole, perciò preferisco lasciare l’auto davanti a casa e godermi una passeggiata. La strada da fare non è molta se si attraversa la pineta, così indosso un paio di comode sneakers in tinta col mio completo da lavoro e mi avvio in quella direzione. Il cielo è di un azzurro chiaro e invitante, appena velato da qualche cirro, e presto scopro di non essere la sola sul sentiero che si inerpica fra gli alberi in fiore. Diverse persone, più ritardatarie o più rapide, mi superano a piedi e in bicicletta – mezzo di cui è lecito avvalersi solo per coprire la distanza fra un luogo e l’altro, mentre esiste un categorico divieto del suo utilizzo per allenamenti o competizioni agonistiche. Io cammino senza urgenza, inspirando ossigeno a ogni passo e abbandonandomi ben presto a inopportune e sconsiderate chimere. 
Sul set sconosciuto del video che proietta la mia mente riconosco Jan, che mi corre incontro appassionato: “Non ci credo, questo è un miracolo! Come sei arrivata qui? Ti penso tanto” e mentre continua a ripeterlo, mi guarda come se nell’intera galassia non ci fossi che io. Ho l’impressione di trovarmi racchiusa all’interno di una bolla di sapone: è fragile, tra breve scoppierà, ma allo stesso momento è un dono potente. È uno spazio unico, solo per noi. Non sto più nella pelle dall’eccitazione: che gioia trovarsi a tu per tu, da soli. Jan mi prende per mano, intreccio le dita con le sue, e la stessa scossa elettrica che ho sentito all’atelier mi attraversa nuovamente. Immagino di abbandonarmi alle mie emozioni più intime, pensando all’effetto domino: una miriade di tessere che cadono l’una sull’altra, mutando i destini come per magia. Ed è per magia se adesso giungo a questo punto, incredula e splendente fra le sue braccia. 
Ah, se solo fosse vero.
Ma non ho modo di bearmi delle mie fantasie perché, come varco la soglia dell’ufficio, Daria si alza e accosta frettolosa la porta alle mie spalle. Mi chiedo se abbia perduto il cervello: da una vita soffre di claustrofobia, in tre anni che lavoriamo assieme non mi ha permesso di chiudere una singola volta. Apro la bocca, ma lei scuote la testa e col mento indica una busta bianca appoggiata sulla tastiera del mio computer. L’afferro, me la rigiro fra le mani, cerco i suoi occhi seria seria: “Sai chi l’ha lasciata?”
Lei si stringe nelle spalle, e in effetti non si notano segni o timbri di alcun genere, almeno all’esterno. Non rimane che aprirla. Con sgomento, scopro che si tratta di una convocazione per visita medica straordinaria, ma non trovo indicazione del perché dovrei vedere il Dottor Cautiverio; di solito vado da lui una volta l’anno, per il controllo di routine, come tutti i miei colleghi.
Daria, che siede composta alla scrivania, muore dalla voglia di conoscere il contenuto della lettera, ma ha il buongusto di restare in silenzio. Continuiamo a lavorare senza fare commenti.
La cosa non mi piace, ha certamente a che fare col mio ultimo incarico, eppure nessuno aveva accennato a una prassi del genere. Perché visitarmi? La faccenda è sospetta, e stabilisco di tenerne Milo all’oscuro: non desidero opinioni che mi turberebbero maggiormente o che mi manderebbero in bestia. E se accennassi a Lunetta, tanto per sfogarmi un po’? Si è sempre dimostrata fidata e credo si asterrebbe da rimproveri del tipo “ti sei fatta coinvolgere troppo.”
Ma la situazione è complessa, non sono convinta; meglio aspettare a far parola con chiunque.

Non ho notizie di Jan da due settimane. Tutto tace e non stento a immaginarne il motivo: che gli sia capitato qualcosa? L’eventualità mi spaventa a morte, così come mi terrorizza l’idea che abbia già esaurito la voglia di cercarmi - e probabilmente è davvero questa la soluzione dell’enigma, anche perché cosa potrebbe fare? Certo non otterrà il permesso di farmi un salutino veloce.
Milo è stato stranamente taciturno negli ultimi giorni. Carino come al solito, certo, ma al contempo all’erta: in un paio di occasioni, voltandomi all’improvviso, l’ho pescato a fissarmi con un’espressione inedita, indagatrice. Vuol sapere continuamente come sto, e mi ha proposto una breve vacanza; per staccare, ha detto. Tutto l’interesse per il diverso che ho mostrato nel periodo di permanenza al quartiere degli artisti lo ha impensierito, e mi spiace ammettere che ci ha allontanati un bel po’: chiaramente crede che dare priorità alla coppia possa farci un gran bene. 
Ma sarà soltanto questo il suo intento? Oppure ha voglia di allontanarmi dalla Città? 



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33. LA PAROLA ALL'AUTORE

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