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Maschile sovraesteso
Cari amici,
ho concepito questo blog affinché sia uno spazio rispettoso e aperto al dialogo. E per restare in linea con tale obiettivo, desidero adesso occuparmi di una materia che ho molto a cuore: la riflessione sul linguaggio inclusivo e le scelte da me compiute in merito.
È un argomento importante, sul quale ho ragionato a lungo prima di iniziare a scrivere; ed è anche una preziosa sfida linguistica e culturale, che crea stimoli sempre nuovi.
Da principio ho preso in considerazione diverse possibili soluzioni: l’uso dell’asterisco, l’uso della schwa, la scelta di affiancare voci maschili a termini femminili. Ciascuna ipotesi era a suo modo interessante, e nasceva dal fondato bisogno di rendere il linguaggio più equo. Dopo aver valutato il panorama con attenzione, ho scelto di avvalermi del maschile sovraesteso - quello che in italiano è tradizionalmente usato per riferirsi a gruppi misti o non specificati.
Non ho deciso in questo senso per ignorare il dibattito; anzi, ritengo essenziale l’esplorazione di tutte le alternative che la nostra nobile lingua ci offre.
Ma tradurre tutto ciò dalla teoria alla pratica avrebbe richiesto grandi competenze in materia; avrei rischiato di diventare involontariamente più discriminante e ambigua, oppure di generare fraintendimenti - compromettendo la chiarezza del messaggio che voglio trasmettere.
Usando il maschile, intendo includere tutte e tutti, senza emarginare nessuno. Suppongo che questa scelta possa non essere in sintonia con la sensibilità di alcuni, e mi scuso fin d’ora se doveste sentirvi feriti o non rappresentati: vi assicuro che urtare la sensibilità dei lettori non rientra nelle mie intenzioni.
Ancora un grande grazie per la vostra presenza.
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