(Leggi i post dal più remoto, "Bio", in poi. Segui l'indice che vedi nella sezione "Etichette".
Fai doppio tap sul testo: ingrandirai l'immagine e ottimizzerai la lettura.)
Dopo lunga e attenta riflessione, ho acconsentito alla richiesta di Milo: il nostro weekend al mare sta per diventare realtà. Le previsioni del tempo assicurano due giorni da favola, perciò ci stenderemo sulla sabbia per arrostirci a dovere. Milo conosce un piccolo golfo raggiungibile in un paio d’ore, un incantevole angolo di paradiso che alla Classe Quattro è consentito visitare: non vedo l’ora di gustare pesce fresco sul molo, sorseggiando piano prosecco ghiacciato.
Solo una piccola nuvola ha offuscato i preparativi, una sua idea che mi ha lasciata di stucco: con un sorriso innocente ha proposto di non mettere in valigia i nostri telefoni cellulari.
Inizialmente ero contraria. È da sciocchi, lo so, ma non posso impedirmi di aspettare notizie dalla Zona degli artisti; in questi giorni controllo i messaggi a ogni occasione, perfino in bagno, e ogni sera prima di addormentarmi rileggo le poche frasi scambiate quella notte con Jan. Le mie fantasticherie, via via più audaci, sono un tormento; non faccio che immaginarmi mentre dipingo al suo fianco, tristemente consapevole del fatto che non avrei il fegato di contravvenire alle regole. Pur desiderandolo, non sono pronta a combattere tanto drasticamente il Sistema.
Però pagherei per imbattermi in lui un’ultima volta. Ho questo film, in proiezione stabile nel vasto multisala della mente, in cui lo sorprendo furtiva alle spalle; lui si gira, mi riconosce e si apre nel più spaziale sorriso di sempre.
Ovviamente non mi sogno nemmeno di esporre questo turbine di pensieri a Milo, pertanto la mia obiezione si limita a un semplice: “Che succede se ci cercano?”
Ma lui ha la risposta pronta: “Non mancheremo a nessuno. Sono solo due giorni. Non siamo tenuti a essere sempre reperibili, approfittiamone.”
In effetti uno dei tanti privilegi del Rango Quattro è una maggiore libertà di movimento rispetto ad altri, il non dover dare costantemente conto dei nostri spostamenti – a patto che si tratti di cosa da poco. La Commissione ci ha riconosciuto settantadue ore di autonomia, ed è raro che le sfruttiamo appieno.
E va bene, mi arrendo: magari mi accorgerò di quanto sia migliore la vita senza quel dannato aggeggio.
Trascorriamo il pomeriggio su una spiaggetta ventilata, io leggendo pigramente un libro, lui osservando i bambini che si rincorrono sul bagnasciuga. Mi accorgo, sollevando sorpresa il capo dalle mie pagine, che una di loro porta addosso una pesante felpa grigio topo, un affare informe che stride orribilmente coi costumini fantasia esibiti dai coetanei. Si tratta di un esserino esile con lunghe trecce color miele, che quasi scompare nella vastità del suo abbigliamento. Somiglia dannatamente alla bimba che ho scorto nel parcheggio al quartiere degli artisti, in occasione della mia serata d’addio; ne è la fotocopia. Ma non c’è possibilità che sia qui, non c’è forza su questo pianeta che avrebbe potuto sradicarla dalla sua Zona per catapultarla quaggiù, a un passo dalle onde assieme a noi. Perciò mi disinteresso di lei e del suo assurdo pastrano per tornare con piacere al capitolo che mi attende.
Quando il sole inizia la sua discesa dentro l’acqua e la gran parte degli ombrelloni è ormai chiusa, io e Milo ci prendiamo per mano e ci avviamo verso la locanda in cui abbiamo riservato un tavolo. Sono felice e in pace con me stessa; mi sento protetta vicino a lui, gli sono grata per avermi condotta quaggiù.
Prendiamo posto sulla verandina, consultiamo la generosa lista dei vini, attendiamo con impazienza l’arrivo delle portate consigliate dal cameriere. La voce delle onde che s’infrangono sulla riva giunge dolcemente fino a noi. Dal punto in cui siamo si gode di un panorama eccezionale, compresa l’ampia e regolare piazza in cui di recente hanno montato un palco. Non so cosa ci sia in programma, ma Milo dichiara di voler prendere informazioni: il prossimo a calcare quelle scene potrebbe essere proprio lui. È bellissimo nella sua camicia avorio, ha occhi solo per me; e sussurra, in tono appassionato, che avrà tutta la notte per dimostrarmelo.
Il mattino seguente, al risveglio, mi tasto la fronte per assicurarmi che il cerchio post alcolico attorno alle tempie non si sia materializzato sul serio. Milo mi prende in giro: “Qualche bollicina di troppo, vecchia mia? Non sei più quella di una volta!”
Gli lancio un cuscino per dispetto, ma in realtà non mi sento ben ferma sulle gambe; preferirei restare in camera, e per fortuna a lui non interessa scendere in spiaggia: “La spensieratezza è il gol di questa piccola trasferta, possiamo prendercela comoda. Che ne dici di vedere come te la cavi alla Sfida?”
La Sfida consiste nell’indovinare dai primi accordi il titolo di una canzone - lui suona e io indovino, se riesco, ma a questo gioco sono da sempre un fiasco. La penitenza, quando sbaglio, è un piccolo morso, che diventa un po’ meno affettuoso se non riconosco al volo una melodia delle sue.
Verso le dieci, mentre Milo strimpella ancora, mi alzo dal letto e mi avvicino allo specchio del bagno, grande abbastanza da mostrare la figura per intero.
“Credi che dovrei tagliarmi i capelli?” chiedo, valutando attentamente il mio riflesso.
“Secondo me è l’ora di raparsi a zero” scherza, riponendo con cura la chitarra nella custodia - è una figlia per lui, non si sognerebbe mai di partire senza.
Sbuffo. “Sto parlando seriamente. Ho bisogno di cambiare. È da quando mi ricordo che ho i capelli così; potrei tingerli, che dici? Fare le mèches? Due colpi di sole?”
“Sei bellissima” dice baciandomi sulla guancia. “Muoviamoci, o non rimarrà niente per colazione.”
Al nostro rientro in città, qualche ora più tardi, trovo ad attendermi in segreteria una nota vocale lasciata da Lunetta: non ci becchiamo da ere geologiche, non è che ho voglia di un pomeriggio esclusivamente al femminile?
Nessun commento:
Posta un commento