venerdì 25 luglio 2025

32. CAPITOLO QUATTORDICESIMO

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Ogni primo sabato del mese io e le girls facciamo un giretto al mercato delle spezie, un luogo accattivante e un po’ esotico in cui comprare frutta secca, diffusori per ambiente dall’aroma particolare, elaborate rose essiccate – la merce più simile a una creazione d’arte che il nostro quartiere sia in grado di offrire. Il mercato è sempre aperto, perfino per le feste comandate, ed è allestito in una struttura riparata che risale agli inizi del secolo scorso, ideale per spendere qualche ora tranquilla anche quando il cielo è fosco e il vento fischia insistente.
Lunetta, famosa per essere la più spendacciona, attende ogni volta trepidante di varcare la soglia delle sue botteghe preferite, e rincasa immancabilmente con le braccia cariche di sacchettini contenenti curcuma, zafferano e noce moscata, noti per le loro qualità benefiche; ma oggi, quando ormai le lancette dell’orologio segnano le dieci e trenta e noi la stiamo aspettando da mezzora, una vocina interiore mi dice che le cose seguiranno un altro corso. Sabrina la cerca a più riprese sul cellulare, ma la sua costanza non viene premiata – se non dalla voce registrata che ci informa di come il telefono sia staccato e la persona non raggiungibile. 
Decidiamo di proseguire senza di lei. Passeggiando per i corridoi del mercato coperto, le ipotesi sull’assenza di Lunetta si fanno molteplici: è strano, in precedenza non è mai mancata all’appello. 
“Vorrà risparmiare e avrà deciso di restarsene a casa per non cadere in tentazione” dice Valeria, spruzzando sul polso il tester di un profumo al sandalo.
"Ma quando mai, risparmiare, figuriamoci! Lunetta ha le mani bucate. E poi, è gonfia di quattrini come un uovo.”
“Bah, sia come sia poteva fare lo sforzo di avvisare…”
Congettura dopo congettura visitiamo tutti gli stand a cui siamo affezionate, senza però venire a capo del mistero. Io preferirei non esprimermi, perché Lunetta è ormai materia delicata; ma le ragazze, invidiose del nostro stretto legame e completamente ignare degli ultimi accadimenti, mi invitano con insistenza ad esternare la mia opinione, mostrandosi stupite quando faccio spallucce.
"Strano, avrei giurato che di recente l’avessi vista almeno tu. L’ultima volta che ci siamo sentite ha sicuramente accennato alla sala prove, doveva avere appuntamento con Milo… e con te, o almeno così pensavo” fa Sabrina, e il suo tono compiaciuto non mi piace per niente, così come non mi va giù quel sorrisetto canzonatore. Decisa a fare buon viso a cattivo gioco, confermo che sì, certo, sapevo che si era fatta viva, ma che non avevo avuto la possibilità di raggiungerli. 
Le espressioni che mi circondano giurano che non le ho convinte affatto, ma le girls rimangono in silenzio perché non hanno la minima possibilità di smentirmi. E così il discorso muore subito, per mia fortuna, anche perché Sabrina si è già fatta distrarre dalle novità del suo rivenditore di fiducia, un anziano mago del commercio che sembra possedere tutte le tonalità di mascara esistenti sul pianeta; quest’uomo sa proprio il fatto suo, dopo lunga e vivace contrattazione non è solo la borsa di Sabrina ad aprirsi per lasciare che il portafoglio veda la luce. Ma il nuovo rimmel è un diversivo che esauriremo presto e io, avendo già avuto occasione di appurare che non sono un granché come racconta-balle, manovro in modo da ricondurre il gruppo sulla via di casa: so bene che un’indagine più approfondita da parte di queste due mi smaschererebbe all’istante.

Più tardi, mentre cammino sola e mesta lungo il viale, osservo le lampade già accese dietro vetri e tendine; la giornata è scura, sembra quasi autunno. Mi perdo a osservare gli appartamenti della città, indovinando quello che succede in ogni interno. Immagino una moltitudine di persone, gente di tutte le età, bimbi senza pensieri, vecchi al termine della loro esistenza, mamme indaffarate di ritorno dal lavoro, tutti con una peculiare vicenda da raccontare, e tutti, ma proprio tutti, molto più contenti di me. O forse sono semplicemente inconsapevoli, non vedono l’acciaio dietro cui sono rinchiusi: ma il risultato, alla fine, è il medesimo, sono liberi per il solo fatto di non conoscere la loro prigione. Mentre io, che ho osato chiamarla col suo nome, non riesco più a mettere il naso fuori dalle sue sbarre.

L’aria in tumulto che spazza la vallata ammassa in cielo nubi rigonfie di pioggia, gelandomi il naso e la punta delle dita. Ma il freddo che mi buca l’epidermide è niente rispetto alla lastra di ghiaccio che si è solidificata attorno al mio cuore, uno spesso strato di dolore nero come pece; non so davvero se riuscirò mai a rimuoverla.
Mentre salgo i gradini davanti al pub, avvisto ancora la bambina, avviluppata nei suoi panni scuri. Ha con sé un’espressione dura, sanguinante, e preferisco non avvicinarla neppure.

Appoggiata al banco del locale, invio un messaggio a Milo, intimandogli di raggiungermi. Non ho voglia di aspettare i suoi comodi fino a stasera, e lui non ha scuse per rifiutare: non salta mai la pausa pranzo, a meno di non essere a un passo da un concerto importante – e non è questo il caso.





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33. LA PAROLA ALL'AUTORE

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