sabato 30 agosto 2025

39. ESPANSIONE

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Sotto la voce Espansioni trovate quella parte di narrazione che segue le avventure dei personaggi, ma non compare nel testo originale; perché il nostro mondo è un mondo che pulsa...

Sono in quattro a salire sul palco rialzato: Vittoria, Marzio e altri due giovani, prestanti gazzelle in forza alle Squadre di Riabilitazione. Una volta là sopra, in completo dominio dell’assemblea, si esibiscono in un piccolo inchino; in perfetta sincronia, ogni membro dell’uditorio inclina il capo con garbo, in segno di cortese risposta.
Eppure sappiamo fin troppo bene cosa stia a significare questa sfacciata pantomima: cara famiglia, ci dicono senza proferire verbo, siamo qui per conto del Sistema. Agevoliamo il vostro percorso, ma il nostro compito è servire lui. La Commissione vi ha concesso una seconda chance, non sprecatela: vi indicheremo come metterla a frutto, passo dopo passo.
Se non fossi così condizionata a non reagire, so che sbufferei come un mantice; ma la lezione è penetrata bene al di là dell’epidermide e non lascia spazio a iniziative spontanee. 
Alla mia destra, Silvia si agita un poco sulla sedia; ma a parte questo, non vedo emozioni filtrare attraverso quel corpo. Le spalle sono distese, e il viso è piatto e grigio come le pietre che lanciavamo sul lago da bambini, restando a osservarne i salti nel bagliore del sole riflesso a pelo d’acqua. È granitica, Silvia, e a suo modo lo è anche Letizia; perfino lei, sempre sull’orlo di una crisi di panico, riesce a conservare un’espressione neutra al cospetto dei Riabilitatori. 
Perché un’ostentata indifferenza è l’arma migliore contro la provocazione, contro il rischio di lasciarsi scoprire il fianco. Non siamo che prolunghe dei nostri guardiani, e come tali esprimiamo quel che si aspettano da noi; ma per farlo ci svuotiamo dei nostri contenuti, ci allontaniamo dal nucleo di noi stessi. 
Mi balza alla coscienza l’incubo che ho avuto questa notte - una scena che accompagna spesso le mie notti solitarie e che getta un’ombra di oppressione sul mio cuscino al risveglio. 
Nel sogno sono nella mia stanza, nell’appartamento che occupavo al Quartiere Quattro, e cerco con frenesia la chiave del primo cassetto del comò: una chiave pesante, dorata e grossa. All’interno ho riposto i pendenti avuti in dono da Milo una vita fa, e tremo all’idea di non poter recuperare un oggetto così prezioso. Via via che i secondi scorrono, l’agitazione precipita nell’angoscia - specie quando, osservando meglio il mobile chiaro, realizzo che è rivestito interamente in pelle umana. La mia pelle, coperta di nei e pallida come la luna. Scorgo perfino, con l’ennesimo brivido freddo, la scritta farfalla, che spicca nera su uno spigolo in basso. Poi, di colpo, il cassettone si sgretola sotto i miei occhi, fino a disfarsi in polvere; e a quel punto mi sveglio di soprassalto, con un verso da animale in trappola strozzato in gola.
Cosa racconta questo orribile scenario? Cos’ho perso di tanto importante? Mi affanno e piango sugli affetti del passato o sugli insostituibili pezzi di me stessa? 












 



mercoledì 20 agosto 2025

38. CAPITOLO DICIASSETTESIMO

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Ogni mattina, alle sei e trenta, la campana risuona in tutte le stanze del primo e del secondo piano, intimandoci di scendere a colazione prima di inaugurare una nuova giornata di pratiche correzionali. 
Così mi alzo dal letto e infilo la vestaglia grigio topo ricevuta al mio arrivo: il corredo degli ospiti ha tinte smunte e tristi, le fantasie chiassose sono bandite quassù - il che, se provieni dal Rango Quattro, ti fa sentire a tuo agio: è quasi un conforto, è quasi essere a casa.
Vestita di tutto punto, mi presento in soggiorno al banco delle vivande: il menù è facile da prevedere, cereali e latte è tutto quel che ci assegnano. Quanto al tè e al caffè, ne ho dimenticato perfino l’aroma: le bevande stimolanti sono vietate, così come lo sono gli alcolici. Ciò che può rendere eccitabili è interdetto a chi proviene dalla Struttura - ma consentito, con moderazione, a chi siede ai posti di comando.
Sei giorni su sette seguiamo questa immutabile routine, come obbedienti formichine all’interno della colonia; unica eccezione sul calendario è la domenica, momento dedicato alle attività rituali. 
Per tutta la vita che ho passato in Zona Quattro - e per tutti i mesi buttati in Struttura - la sottomissione ai vertici del potere era una condizione scontata; per ottenerla non erano previsti giuramenti solenni né mezzi coercitivi. Ma qui sull’Isola, con una comunità tanto nutrita in fase di riscatto, la promessa di lealtà non è più lasciata al caso. 
Ed è proprio per rafforzare il senso di appartenenza che entra in scena l’Auditorium - quella specie di sala conferenze, pomposamente denominata Agorà, che occupa in toto l’ultimo piano dell’Edificio. L'ambiente è progettato per ricevere la nostra famigliola al gran completo, specialmente nei periodi freddi, quando le temperature sono tanto rigide da non permettere adunate esterne. Solo con l’avanzare della primavera le sessioni collettive si spostano all’aperto, collocandosi di preferenza sul pratone dietro le Domus.
L’Agorà ospita uno schermo gigante per la proiezione di slide o filmati e un podio (o dovrei dire un pulpito?) dal quale ogni domenica i Riabilitatori declamano, con le loro voci altisonanti e robotiche, sermoni e regolamenti ufficiali. C’è anche una postazione ulteriore - provvista di microfono, ma collocata in basso per ragioni gerarchiche - dalla quale prendiamo la parola noi, gli ultimi, per una buona dose di autocritica. Però non descriviamo mai il reato che ci ha trasformati in ignobili reclusi; dobbiamo semplicemente riconoscere a pieni polmoni la gravità dei nostri errori. 
E, soprattutto, fare ammenda per esserci macchiati della colpa più grande: aver tentato di agire su iniziativa personale.
Mentre annaffio la mia ciotola di crusca col latte fresco, Silvia si accomoda sulla sedia di fronte alla mia. Sbadiglia, gli occhi ancora cerchiati dal sonno, e con una mimica un po’ goffa mi supplica di riempire una tazza anche per lei. Io eseguo, torno al mio posto e le porgo un coccio che reca la scritta Faccio parte della famiglia - parole stampigliate ovunque su utensili e accessori, tese a sradicare in via definitiva quella  fragile individualità che potremmo ancora, pericolosamente, conservare nonostante tutto. Perché quando saremo integrati alla perfezione, non riusciremo più a guardare fuori; sprofondati nell'abisso, percepiremo solo il nero che ci avvolge.
Silvia mi ringrazia con calore e mi rivolge un sorriso zuccheroso come marzapane. Anche se in generale è affabile e premurosa, sa diventare adulatrice fino all’eccesso, specie con Marzio e la collega Vittoria; è subito pronta a compiacerli, prodiga di sciocchi interventi non richiesti. È ambigua, e per il momento preferisco sospendere ogni giudizio sul suo conto - sebbene viva con lei da oltre due anni. 

Vestiti di tutto punto, un’ora dopo colazione, ci raggruppiamo all'ingresso, pronti per recarci in sartoria - un prefabbricato situato a metà strada fra l’Edificio e l’area delle Domus. Alla sola idea, alcuni dei miei compagni fanno smorfie di raccapriccio; non mi è chiaro dove vivessero prima dell’ingresso in Struttura - lo scambio di informazioni simili non è permesso - ma certo non si trovavano in Classe Otto. Io mi sforzo di mantenere un’espressione neutra, quando in realtà nascondo uno stato d’animo simile al loro. Sebbene i Riabilitatori non facciano che rassicurarci con slogan del tipo “l’apprendimento è sacro in ogni fase della vita”, cimentarsi con la manualità è una vera e propria sfida. In precedenza non ho mai dovuto tenere un ago in mano, né appendere un chiodo alla parete - o meglio, non ho mai potuto farlo e il risultato è che adesso tutto sembra un ostacolo, una cima insormontabile. Soltanto ai fornelli ho imparato a cavarmela discretamente, pur non potendomi ritenere uno chef stellato – a casa era Milo il vero esperto, ma per evitare che i recettori si attivino e il dolore esploda, caccio svelta il suo ricordo in un angolino perduto del mio cuore. 
Arrivate alla sartoria, io e Silvia prendiamo posto in seconda fila dietro a due ragazzoni dai bicipiti muscolosi, che catturano totalmente l’attenzione della mia compagna: “Non serve essere scienziati per capirlo, questi due provengono dal quartiere degli atleti; chissà quanta energia da sfogare hanno in corpo…” bisbiglia maliziosa, ma subito dopo Marzio compare in cattedra e il chiacchiericcio nel laboratorio cessa di botto. 
I frivoli apprezzamenti di Silvia non mi toccano, però mi spingono a domandarmi come mai sia tollerata tanta promiscuità. È parte del piano di recupero cui siamo sottoposti? È per testare il nostro rinnovato grado di disciplina? Naturalmente ogni contatto fra i due sessi è destinato a rimanere amichevole, ma se anche i flirt fossero ammessi non credo che a Silvia interesserebbero realmente gli approcci dei due ex culturisti al primo banco. Da tempo nutro la convinzione che nessuno le piaccia più di Marzio, a dispetto della spersonalizzazione subita; Marzio, così enigmatico e stuzzicante nel suo sventurato ruolo di antagonista. 







giovedì 14 agosto 2025

37. CAPITOLO SEDICESIMO

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Sull’Isola è tornato l’autunno e la temperatura è precipitata di diversi gradi. Il cielo ha una tonalità indefinita, gli alberi quasi spogli levano i rami secchi verso l’alto, come braccia a invocare aiuto. La campagna ha preso d’un tratto un aspetto un po’ lugubre, ma al contempo pittoresco.
Nonostante l’ora tarda, io e Silvia ce ne stiamo sedute sugli spalti del campo di atletica, coi colletti delle giacche identiche alzati a ripararci dal vento. Lei tiene fra le mani un thermos colmo di tisana bollente, io sorseggio una cioccolata in tazza – anche se non so che darei per un latte macchiato. Giù in pista, Marzio si allena senza posa: è concentrato, metodico, mi rammenta Milo in sala prove, tanto assorto in ciò che faceva da non considerare nient’altro. Ma il suo ricordo è come fiele, e non appena lo becco che fa capolino mi affretto a schiacciarlo sotto il tacco; senza Milo mi manca un braccio.
D’un tratto i lampioni si accendono tutt'intorno, creando ampie pozze di luce; e dopo l’ennesimo allungo Marzio decide che è ora di rientrare alla base. Corre verso di noi, Silvia gli lancia la felpa che custodisce con premura da due ore; gli sorride, poi si lascia scappare un microscopico sospiro. In silenzio, ci avviamo assieme verso la Domus - anche a piedi non dista molto dall’Edificio centrale e la strada da percorrere è bene illuminata… per ragioni di sicurezza, immagino. 
Sperando di evitare il freddo pungente, scivoliamo via svelti come spettri, assorti nei nostri pensieri. Percorriamo tacitamente il sentiero di terra battuta che si snoda verso sud, ma quando arriviamo in prossimità della meta, senza alcun preavviso, Marzio ci sfida a batterlo sul tempo, lanciandosi in una corsa da campione con cui il nostro scatto ritardato fatica a competere. 

I Riabilitatori, categoria in cui si annoverano anche Marzio e la sua partner Vittoria, vengono addestrati a operare in coppia. Sono giovani atletici dall’aspetto altero, perennemente vestiti di bianco, impossibili da confondere con la restante popolazione  dell’Isola.
Non appena sbarcata al molo, ho notato le loro caratteristiche iridi slavate: sono allarmanti, di una tonalità sottile come vetro soffiato, duri pezzi di ghiaccio affissi su volti bellissimi. Abbinate a pupille poste in verticale - forse a ricordare la potenza dei felini - inquietano e attraggono l’interlocutore al tempo stesso. I loro occhi sembrano un atroce scherzo di natura - ma si vocifera che per ottenere questo curioso effetto ricorrano a lenti concepite ad hoc.
Pure la voce non ha alcunché di naturale: creata ad arte con un sofisticato dispositivo tecnologico, si irradia in onde metalliche che ricordano le vibrazioni emesse da un androide - così da bandire ogni residua sfumatura di umanità dai loro corpi perfetti. 
Eppure, strano a dirsi, non provo orrore davanti a loro; anzi, li compatisco. L’alienazione cui si sottopongono è anch’essa una punizione: chissà se, mentre contemplano la propria maschera allo specchio, capita che non si riconoscano affatto. Chissà che, nel tempo, non abbiano smarrito una frazioncina di se stessi, un tassello impercettibile che ora stentano a ripescare nella vastità del nulla. 
Occupati a rieducare gli ospiti, presiedono le attività, affiancati talvolta da medici e Ausiliari - figure incaricate del vettovagliamento, della manutenzione e della pulizia dei locali.
Se non sapessi con matematica certezza che ogni liaison amorosa è tassativamente proibita fra i membri del personale – per fugare eventuali dubbi basta consultare il Regolamento, onnipresente su tutti i piani dell’Edificio e della Domus - mi convincerei che tra Marzio e Vittoria sia nato del tenero: collaborano in perfetta sintonia, sono somiglianti come anime gemelle, non li si sente mai bisticciare. Dopo il pasto serale li ho sorpresi spesso a parlottare in tono sommesso, e in più di un’occasione la ragazza teneva le mani di lui racchiuse fra le sue. A me la loro intesa pare perfetta: sono parti differenti dello stesso puzzle, due piccole tessere che si incastrano al millimetro. 

Conclusa - dopo secoli - la detenzione in Struttura, chiunque entra nelle nostre schiere viene collocato  presso l’Edificio. Si tratta di un ambiente smisurato, concepito per accogliere una comunità di oltre duecento persone: è provvisto di camerate, cucine e sala mensa, servizi e infermeria. C’è persino un auditorium, con le sue gradinate, il palco rialzato e sedie comode. Anche la pista all’aperto su cui si allenava Marzio appartiene a questo complesso e può essere sfruttata dal personale e dagli ospiti secondo gradimento - la divisione in Classi è un lontano ricordo quaggiù, e il programma per il reintegro prevede attività motorie in abbondanza. Qualcuno va dicendo che a breve costruiranno una piscina in muratura, ma non sono tanto sprovveduta da volerci credere: i pomeriggi sono lunghi da passare e la fuga di notizie inattendibili, messe in giro a danno dei creduloni, non è un evento così inusuale.
Alla scadenza del periodo iniziale, che varia dai dodici ai diciotto mesi, gli ospiti vengono trasferiti coi loro Riabilitatori nell’area delle Domus - costruzioni su scala decisamente ridotta, progettate per permetterci uno stile di vita più intimo e familiare.
Gli ambienti, benché raccolti,  garantiscono finalmente un po’ di privacy: disponiamo di stanze singole e di una certa autonomia, e da principio questa grande fiducia mi sbalordiva. Quando salivo in camera mi precipitavo a spalancare la finestra, assaporando l’assenza delle sbarre in ferro battuto; respiravo a fondo, provando un potente senso di libertà. Ma poi ho riflettuto meglio sulle politiche del luogo e il mio stupore è diminuito sensibilmente: questo progetto esiste per rieducarci, è ovvio che contempli esperienze di vita indipendente. In più qualsiasi tentativo di fuga sarebbe ridicolo: con che obiettivo, raggiungere il continente a nuoto?
Sia come sia, gli Ausiliari prendono le loro precauzioni prima di coricarsi: se pur maneggiamo coltelli e forchette nelle ore diurne – sotto attenta supervisione – scendere dopo il buio nelle sale comuni non è consentito. Se ci avventurassimo da basso dopo le dieci, sarebbe solo per scoprire che le armi improprie sono state accuratamente chiuse a chiave. 
E comunque lasciare le nostre stanze è pressoché inutile. Ogni camera è corredata da una toilette privata, lo sportello del comodino accanto al letto è quotidianamente rifornito di tisana e biscotti: qualunque visita notturna alla dispensa sarebbe superflua.

Nessuno sa cosa sarà di noi a riabilitazione avvenuta: eccettuata la vecchia Faith, che appartiene alla comunità dell’Isola da tempo immemore, finiremo tutti per andarcene. Ma la nostra destinazione ultima rimane sconosciuta. Ogni sei mesi i più anziani fra noi vengono portati via a bordo di grosse macchine nere, per essere tradotti non si sa dove; al loro posto subentrano i nuovi arrivi, prelevati direttamente dalla Struttura.

Spesso mi sono domandata se il territorio su cui sorge il nostro insediamento appaia esattamente come lo descrivono, un rigoglioso pezzo di terra emersa nel bel mezzo dell’Atlantico. Al nostro arrivo eravamo drogati, privi di sensi, nessuno di noi ha avuto percezione del tragitto o del tempo che ci è voluto per compierlo. Siamo a digiuno di qualunque coordinata geografica e dal punto in cui alloggiamo la presunta massa d’acqua rimane invisibile.
Perciò ripeto: siamo sicuri che l’Isola sia veramente un’isola? La sua estensione non è valutabile, perché non disponiamo di mezzi per spostarci: chi ci ha portato fin qui è ripartito subito dopo, e le camionette che si occupano dei viveri fanno dietro front appena scaricato il cibo. 
Non so da dove provengano le auto usate per i rifornimenti, ma è chiaro che esiste un altro agglomerato a pochi chilometri dal nostro centro; magari non è neppure distante, ma mi manca il fegato di cercarlo, di avventurarmi da sola nella boscaglia. Anche l’idea di perlustrare i paraggi a caccia di sbocchi sulla costa è stata accantonata da un pezzo. Specialmente dopo il trasloco alla Domus ho troppo da perdere: se mi beccassero, verrei rispedita dritta dritta all’Edificio - e certo non intendo correre un simile rischio.
Però le perplessità rimangono: c’è davvero un vasto oceano azzurro-blu a circondarci? Oppure ci riempiono la testa di fandonie, per scoraggiare improbabili rivolte e tentativi di evasione?



mercoledì 13 agosto 2025

36. LA PAROLA ALL'AUTORE

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Cari amici,

innanzitutto un grande grazie a chi ha seguito le avventure di Liz fino a questo momento: la vostra presenza è un regalo prezioso ❤
Con l’ingresso in Struttura si chiude una parte importante della vicenda, parte in cui abbiamo assistito al risveglio interiore della nostra protagonista. L’intimo desiderio di spezzare le proprie catene, unito alla capacità di riconoscere con chiarezza le dinamiche del Sistema, l’ha portata a pagare un prezzo altissimo… ma a rimanere comunque fedele a se stessa.
Adesso, però, comincia il secondo tempo della nostra storia, in una realtà diversa ma altrettanto soffocante: un rigido campo di riabilitazione, iper regolamentato, situato su un’isola sperduta nel bel mezzo dell'oceano. A questo luogo non si sfugge, né col fisico, né con la mente; gli obiettivi principali delle Squadre sono controllo e correzione dei soggetti, e le Autorità faranno di tutto pur di portare a casa il risultato.
Riuscirà Liz a fare opposizione?
Oppure il Sistema troverà la chiave per piegarla al suo volere?
Non vi resta che scoprirlo.



mercoledì 6 agosto 2025

35. LA PAROLA ALL'AUTORE

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Il metro del profitto
La realtà che ci circonda misura il nostro valore secondo il metro del profitto. Ci viene insegnato, in maniera più o meno diretta, che per sentirci realizzati dobbiamo guadagnare molto, lavorare in un ufficio prestigioso, far colpo coi nostri titoli durante una cena tra amici. Tutto, dall’aspettativa familiare al bombardamento mediatico, ci spinge verso un’unica meta: quella della competizione col prossimo e dell’accumulo (a non finire!) di beni di consumo.
Possibile che sia questo il senso della vita sul nostro pianeta? La società, ossessionata da produttività ed efficienza, dimentica spesso una verità fondamentale: non siamo qui per produrresiamo qui per creare
Siamo qui per evolvere. 

C’è una parte profonda dentro di noi, che raramente viene ascoltata; eppure è proprio lei a conoscere la nostra missione sulla Terra.
Inseguire stipendio e status, evitando di interrogarci sul cammino da percorrere, rischia di allontanarci dalla nostra autentica vocazione. Ogni anima ha un compito, una via maestra che le appartiene nel profondo; ma il sistema, così com’è impostato, ci insegna da subito a zittire quella voce che ci portiamo dentro, a dubitare delle sue parole… ci abitua a prendere decisioni convenienti, anziché a pórci in linea con chi siamo davvero.
Ma il prezzo che si paga ignorando - tradendo! - se stessi è assai alto: quante persone, seppur circondate dal lusso, si sentono irrimediabilmente vuote o incomplete?
Il successo non si misura contando gli euro nel portafoglio; si costruisce con la fedeltà alla verità interiore. Per trovare la direzione ci vuole coraggio, occorre disobbedire al copione che il mondo ha scritto per noi. 
Ma è solo così che si vive davvero. 
Il resto… è mera sopravvivenza.


Vorrei ribadire un punto importante: non desidero tenere lezioni, non è il mio ruolo, non ho le competenze necessarie. E non potrei mai avere tutte le risposte… ammesso che le abbia un insegnante.
Quello che desidero fare, invece, è condividere: condividere ciò che sento ogni giorno, ciò che risuona dentro il mio petto. Non porto verità assolute, ma una semplice testimonianza di me stessa… che magari può accendere qualcosa anche in voi, così come succede a me quando sono gli altri a raccontarsi in mia presenza.





domenica 3 agosto 2025

34. CAPITOLO QUINDICESIMO

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Milo compare equipaggiato con sorriso accattivante e fiorellino colto di fresco. È evidente che nel leggere le mie parole ha equivocato, sperando in una sorpresa; ma non appena gli pianto addosso gli occhiacci più cupi di cui sono capace, il sorriso evapora e lui si affretta confuso verso l’angolo in cui sono seduta: “Già a quest’ora?” domanda indicando col mento la pinta che ho davanti, ed è chiaro che il buio in cui brancola sta aumentando. Non bevo mai prima delle cinque.
"Non sono ubriaca” biascico impermalosita per tutta risposta.
“Lo sarai presto. Che succede?”
Eccoci al dunque. Non ho preparato alcun discorso, non so neppure io come voglio affrontare la faccenda, ma la birra che naviga nel mio stomaco digiuno mi rende bellicosa.
"So tutto di te e Lunetta” sbotto senza preamboli.
Milo si appoggia allo schienale e si massaggia le tempie, genuinamente perplesso. “Ma di che cavolo parli?”
"Delle sue visitine in sala prove, del fatto che da mesi ti sta tampinando, delle vostre manie di controllo sulla mia vita. Non so quali trame mi abbiate nascosto, ma ti darò un’informazione: non ho tre anni.”
“Ti ringrazio per le delucidazioni sull’ufficio anagrafe, ma tu farnetichi. È venuta a trovarmi a lavoro e non vedo che male possa fare. È soltanto in ansia per te. Non ha tentato nessun approccio indiscreto, se a questo ti riferisci, ci sono almeno dieci persone che possono confermarlo.”
"E allora come mai tanta segretezza? Perché non ne sapevo niente?”
"Perché è stata lei a chiedermi di tacere. Ha detto che, considerata la situazione fra voi, non voleva che tu fraintendessi le sue intenzioni. Lì per lì la ritenevo una preoccupazione esagerata, invece pare che avesse ragione. E, francamente, renditi conto che non siamo noi a traboccare di segreti.”
Rimango a bocca aperta. Questa è proprio bellina, cos’è, rigira la frittata? 
Tento la voce più dura che mi riesca, una specie di sordo ringhio animalesco: “Come, prego?”
"Non fare la finta tonta. Messaggi da non si sa chi nel cuore della notte, menzogne riguardo alla cura del dottore, continue e pericolose valutazioni a proposito del Sistema. Ti è venuto in mente che rimanerti accanto può condurci tutti alla più vicina Struttura? Certo che no, la grande Liz non perde tempo a occuparsi di chi le vuole bene, è troppo presa dai suoi drammi personali! Ma incredibilmente, sebbene tu ti comporti da egoista, nessuno si è tirato indietro: per cosa, dico io, per prenderci pure degli stronzi? Che sciocchi.”
Nonostante il lavorio alcolico del mio cervello, sospetto che nelle opinioni di Milo ci sia almeno una punta di ragione, ma la cocciutaggine di cui sono preda non mi permette di riconoscerlo ad alta voce. Perciò riparto all’attacco, tentando una strada diversa: “Beh, avete preso la palla al balzo, mi pare! Lo so da un secolo che Lunetta voleva metterti le grinfie addosso, suppongo ce l’abbia fatta!”
Vorrei rimangiarmi queste carognate all’istante, non c’è una briciola di vero in ciò che ho detto e lo so, per lui la lealtà è il valore più grande. Ma ormai il danno è fatto e Milo risponde alle false accuse con arguzia superiore alla mia: “Se anche fosse, non vedo da chi tu possa correre a lamentarti: in Classe Quattro, lo sai, la fedeltà non è obbligatoria.” Ciò detto si alza dallo sgabello e si allontana, senza neppure disturbarsi a salutare. Un secondo dopo infila la porta e sparisce sotto l’acqua che nel frattempo ha cominciato a scrosciare fitta. 
Chiamo il cameriere e chiedo un’altra doppio malto. L’occhio mi scivola sulla margherita recisa che Milo mi aveva portato, tristemente abbandonata sul tavolo. Sembra perfino star peggio di me. Mentre attacco l'ennesima pinta, mi balza in mente la notte in cui ci siamo conosciuti, una vita fa, durante uno dei concerti organizzati al Temet Nosce. Nonostante l’energia della band la serata non accennava a decollare, tanto che meditavo di svignarmela in anticipo; e lo avrei fatto se non fosse stato per le persistenti occhiate del tipo appoggiato al banco. Coi suoi riccioli ribelli e quel fisico niente male, Milo non ci aveva messo molto a catalizzare la mia attenzione, e in meno di mezz'ora avevo elaborato l’unico concetto che contasse qualcosa: il mio interlocutore possedeva gli ingredienti giusti per farmi innamorare sul serio. 

A pomeriggio inoltrato, uscendo dal locale col mio bagaglio più che alcolico, mi imbatto per l’ultima volta nella familiare figuretta sperduta, asfissiata dalla felpa sproporzionata e cupa. È sempre lei, la biondina dalle lunghe trecce, e io sento, al solo scorgerla, un’intima fitta di rimpianto. 
In un lampo ne indovino l'identità e mi basta il tempo di un battito di ciglia per pronunciarne il nome… per pronunciare il mio nome. Perché quella sono io, io spiccicata, muscoli e ossa. Sono io com’ero anni fa; è la piccina che sono stata, quella che coltivava con grinta sogni e aspettative, quella che esisteva prima che tradissi me stessa e mi lasciassi assimilare dal Sistema - e che adesso stenta a respirare, gravata com’è da quella matassa di grigia oppressione che è costretta a trascinarsi in giro.

Ho sbagliato tutto, adesso lo so.
Ho sbagliato nei miei riguardi quando ho rinunciato a cercarmi, quando ho smesso di lottare per raggiungere il mio reale posto nel mondo. Mi sono accontentata di navigare in acque sicure, senza mai osare, senza mai puntare a quello spazio chiamato oltre, accidenti a me.
E ho sbagliato nei confronti di Milo. Avrei dovuto puntare ad appianare i contrasti, a risolvere; potevo abbracciarlo e chiedergli di aiutarmi a colmare la distanza che ho creato tra noi - un solco profondo scavato con le mie mani in tutti questi mesi, che ormai ha raggiunto le dimensioni di una voragine.
È tardi per le recriminazioni. Fra tre giorni ho un nuovo appuntamento col medico del lavoro e, comunque vada, stavolta sarò da sola a reggere il colpo.


*


Là fuori c’è il mare. Anche quando non mi affaccio ai vetri ne sono costantemente consapevole. Alle prime luci dell’alba i gabbiani fanno sentire la loro voce e io mi scopro a immaginare l’ampio canale d’acqua che ci separa dalla terraferma e dalla Città, suddivisa in tutte le sue Zone. 
Le finestre della Struttura sono alte veramente, proprio come sentivo raccontare da bambina, proprio come ci assicuravano a scuola; durante il giorno inondano di luce l’ambiente asettico, lasciando che entri al suo interno la gioia pulsante del mondo reale, un mondo che qui ci è precluso per sempre. Magari è un trucco per farci crepare d’invidia.
L’aspetto peggiore del doversene restare sprangati fra queste mura è il troppo tempo che si ha per rimuginare. Fa parte della Correzione, suppongo; o è una crudele trovata per punirci? I pensieri, inizialmente delle dimensioni di uno spillo, si gonfiano fino a diventare palloncini sul punto di esplodere; ma il botto non arriva mai, altrimenti, così come sono apparsi, svanirebbero. Al contrario, si espandono fino a riempire ogni fessura, ogni millimetro di cranio disponibile; e fino a farsi insostenibili. Una delle idee fisse con cui imparare a convivere è la vetta raggiunta dall’indottrinamento che subiamo, anche quando ci crediamo consapevoli, anche quando ci pensiamo liberi. Il Sistema ci colloca, ed è così complicato riformulare il mondo in maniera diversa, anche solo dinnanzi a noi stessi. È dura sognare un orizzonte alternativo cui affidarsi. 
Le volte in cui riesco a staccare la spina e a chiudere ogni imposta su queste considerazioni, i miei ricordi volano dolorosi verso Milo. Mi sono comportata da perfetta stronza nei suoi riguardi e me ne sorprendo tanto: non perché io sia una campionessa di moralità, ma è una persona a cui ho voluto un gran bene. E so quanto lui tenesse a me e al nostro sentimento, eppure ciò non è bastato. La mia quotidianità, zeppa di privilegi, non mi è stata sufficiente. 
L’altra idea martellante con cui mi addormento ogni sera è giustamente Jan: Jan che non sarà mai al mio fianco, Jan che non so che fine abbia fatto. Abbracciando il cuscino, mi trovo a sperare che tutto vada bene, che possa condurre una vita felice a modo suo. Eppure, mentre lo immagino che dipinge, finalmente salvo alla luce del sole, gli Ausiliari della camerata staccano la corrente senza alcun preavviso; così anche il mio buio interiore si infittisce… ed è tanto denso da assorbirmi, da inghiottirmi.


-


Grazie per aver viaggiato assieme a me.
Questa parte della storia termina qui, ma il cammino è ancora lungo: nuove pagine e nuovi intrecci vi attendono all’orizzonte.
Il seguito arriverà… e porterà con sé sorprese che nemmeno io potevo prevedere.  
Continuate a seguire Liz nelle sue avventure: non ve ne pentirete 💞



40. CAPITOLO DICIOTTESIMO

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