martedì 29 luglio 2025

33. LA PAROLA ALL'AUTORE

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Quando immagino una parte di storia - o semplicemente condivido un pensiero su questo blog - muovo sempre da un’intenzione ben precisa: nella mia mente è ovvio il significato da comunicare, è chiaro l’indirizzo a cui condurre chi mi segue. Le parole scaturiscono da una sorgente che sembrerebbe appartenere a me - e a me soltanto.
Ma la faccenda, qui, non è affatto univoca: chi interagisce con il testo mette in circolo le sue vibrazioni, diventa artefice congiunto nel processo creativo. Il lettore, portando con sé altre possibili interpretazioni, coglie messaggi che io non avevo previsto, che non avevo immaginato neppure per scherzo… o magari sì, ma senza saperlo?
Ed è qui che il chicco da me seminato germoglia, che la pianta ramifica ben oltre le aspettative: l’inchiostro sulla pagina bianca si arricchisce durante l’incontro con il lettore - perché chi legge, con la sua sensibilità, il suo bagaglio, la sua forma mentis, conferisce un’impronta personalissima al testo già nato.
Le frasi si ampliano ed evolvono in questo scambio, la scrittura vive, si nutre e si rigenera: ogni volta che qualcuno accede a un brano e lo interpreta, aggiunge anche qualcosa di suo. E così il cerchio si allarga, in uno sviluppo privo di qualunque confine, grazie al quale costruiamo un ponte per giungere alla meta insieme.

Quindi grazie. A chi legge, a chi condivide, a chi risuona. Anche a chi mi sorprende. 
Perché tutto questo non lo creo da sola 🩷


venerdì 25 luglio 2025

32. CAPITOLO QUATTORDICESIMO

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Ogni primo sabato del mese io e le girls facciamo un giretto al mercato delle spezie, un luogo accattivante e un po’ esotico in cui comprare frutta secca, diffusori per ambiente dall’aroma particolare, elaborate rose essiccate – la merce più simile a una creazione d’arte che il nostro quartiere sia in grado di offrire. Il mercato è sempre aperto, perfino per le feste comandate, ed è allestito in una struttura riparata che risale agli inizi del secolo scorso, ideale per spendere qualche ora tranquilla anche quando il cielo è fosco e il vento fischia insistente.
Lunetta, famosa per essere la più spendacciona, attende ogni volta trepidante di varcare la soglia delle sue botteghe preferite, e rincasa immancabilmente con le braccia cariche di sacchettini contenenti curcuma, zafferano e noce moscata, noti per le loro qualità benefiche; ma oggi, quando ormai le lancette dell’orologio segnano le dieci e trenta e noi la stiamo aspettando da mezzora, una vocina interiore mi dice che le cose seguiranno un altro corso. Sabrina la cerca a più riprese sul cellulare, ma la sua costanza non viene premiata – se non dalla voce registrata che ci informa di come il telefono sia staccato e la persona non raggiungibile. 
Decidiamo di proseguire senza di lei. Passeggiando per i corridoi del mercato coperto, le ipotesi sull’assenza di Lunetta si fanno molteplici: è strano, in precedenza non è mai mancata all’appello. 
“Vorrà risparmiare e avrà deciso di restarsene a casa per non cadere in tentazione” dice Valeria, spruzzando sul polso il tester di un profumo al sandalo.
"Ma quando mai, risparmiare, figuriamoci! Lunetta ha le mani bucate. E poi, è gonfia di quattrini come un uovo.”
“Bah, sia come sia poteva fare lo sforzo di avvisare…”
Congettura dopo congettura visitiamo tutti gli stand a cui siamo affezionate, senza però venire a capo del mistero. Io preferirei non esprimermi, perché Lunetta è ormai materia delicata; ma le ragazze, invidiose del nostro stretto legame e completamente ignare degli ultimi accadimenti, mi invitano con insistenza ad esternare la mia opinione, mostrandosi stupite quando faccio spallucce.
"Strano, avrei giurato che di recente l’avessi vista almeno tu. L’ultima volta che ci siamo sentite ha sicuramente accennato alla sala prove, doveva avere appuntamento con Milo… e con te, o almeno così pensavo” fa Sabrina, e il suo tono compiaciuto non mi piace per niente, così come non mi va giù quel sorrisetto canzonatore. Decisa a fare buon viso a cattivo gioco, confermo che sì, certo, sapevo che si era fatta viva, ma che non avevo avuto la possibilità di raggiungerli. 
Le espressioni che mi circondano giurano che non le ho convinte affatto, ma le girls rimangono in silenzio perché non hanno la minima possibilità di smentirmi. E così il discorso muore subito, per mia fortuna, anche perché Sabrina si è già fatta distrarre dalle novità del suo rivenditore di fiducia, un anziano mago del commercio che sembra possedere tutte le tonalità di mascara esistenti sul pianeta; quest’uomo sa proprio il fatto suo, dopo lunga e vivace contrattazione non è solo la borsa di Sabrina ad aprirsi per lasciare che il portafoglio veda la luce. Ma il nuovo rimmel è un diversivo che esauriremo presto e io, avendo già avuto occasione di appurare che non sono un granché come racconta-balle, manovro in modo da ricondurre il gruppo sulla via di casa: so bene che un’indagine più approfondita da parte di queste due mi smaschererebbe all’istante.

Più tardi, mentre cammino sola e mesta lungo il viale, osservo le lampade già accese dietro vetri e tendine; la giornata è scura, sembra quasi autunno. Mi perdo a osservare gli appartamenti della città, indovinando quello che succede in ogni interno. Immagino una moltitudine di persone, gente di tutte le età, bimbi senza pensieri, vecchi al termine della loro esistenza, mamme indaffarate di ritorno dal lavoro, tutti con una peculiare vicenda da raccontare, e tutti, ma proprio tutti, molto più contenti di me. O forse sono semplicemente inconsapevoli, non vedono l’acciaio dietro cui sono rinchiusi: ma il risultato, alla fine, è il medesimo, sono liberi per il solo fatto di non conoscere la loro prigione. Mentre io, che ho osato chiamarla col suo nome, non riesco più a mettere il naso fuori dalle sue sbarre.

L’aria in tumulto che spazza la vallata ammassa in cielo nubi rigonfie di pioggia, gelandomi il naso e la punta delle dita. Ma il freddo che mi buca l’epidermide è niente rispetto alla lastra di ghiaccio che si è solidificata attorno al mio cuore, uno spesso strato di dolore nero come pece; non so davvero se riuscirò mai a rimuoverla.
Mentre salgo i gradini davanti al pub, avvisto ancora la bambina, avviluppata nei suoi panni scuri. Ha con sé un’espressione dura, sanguinante, e preferisco non avvicinarla neppure.

Appoggiata al banco del locale, invio un messaggio a Milo, intimandogli di raggiungermi. Non ho voglia di aspettare i suoi comodi fino a stasera, e lui non ha scuse per rifiutare: non salta mai la pausa pranzo, a meno di non essere a un passo da un concerto importante – e non è questo il caso.





lunedì 21 luglio 2025

31. LA PAROLA ALL'AUTORE

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Divieni ciò che sei
Viaggiare. Andare. Esplorare. 
Conoscere il mondo di fuori. 
Un weekend a Madrid, un ritiro in Oriente, un tramonto sulla spiaggia: cosa può esserci di più desiderabile?
Ma esiste un altro viaggio, celato e silenzioso, che non regala foto da postare né aneddoti da condividere davanti a una pizza. 
È un viaggio nel profondo, da intraprendere non per segnare nuovi traguardi sulla cartina, bensì per incontrare noi stessi.

Sull’argomento è stato scritto in lungo e in largo, e in ogni epoca: se ne trovano tracce nella filosofia, nella letteratura, in qualunque credo e in qualunque religione. Usando linguaggi differenti, le varie discipline convergono tutte verso lo stesso punto: scoprire l’essenza, accettare il volere superiore di una saggezza assai più alta della nostra.
E in effetti tutti noi, prima o poi, avvertiamo il bisogno di elevarci: sentiamo nel petto un bisbiglio, che si fa via via più tenace, e che ci chiede di allinearci a un progetto che l’anima ha fissato da tempo. Ci viene comandato, insomma, di divenire quel che già siamo
Può sembrare subordinazione, una chiara rinuncia al libero arbitrio; ma si tratta, in realtà, di un abbandono consapevole, di imparare a fluire con la vita anziché resisterle. Si tratta di fidarsi davvero… per giungere finalmente a casa.

Anche la religione cristiana, in molti momenti, ci mostra questa dinamica. 
Quando si parla della resurrezione di Lazzaro, ad esempio, non si sottolinea soltanto il miracolo compiuto da Gesù, ma anche il risveglio a un’esistenza nuova.
Ancora più significativa è la costante enfasi di Cristo sulla volontà del Padre: non per annullare la propria individualità, ma per connettersi con un proposito divino che supera la dimensione egoica. Questa sottomissione non è debolezza né passività: è la massima forza. La frase Non la mia, ma la tua volontà sia fatta allude proprio a questo.
Gesù ci mostra che la vera libertà è abbracciare il proprio destino spirituale, e lo stesso fa Maria quando dice: “Eccomi, sono la serva del Signore”, manifestando un’adesione potente alla grazia che opera nell’intimo.
Cristo è una figura straordinaria, è il Maestro che ci dona l’insegnamento più prezioso: il richiamo alla scintilla divina e creativa che abita l’uomo.

Lo stesso vale per la religione musulmana, che ci invita ad affidarci all’ordine più grande di cui facciamo parte; questo abbandono implica resa e obbedienza completa al Dio unico. 
La parola Islam è legata ai concetti di pace e sottomissione, e la connessione fra i due termini è significativa: chi si arrende alla volontà di Dio trova equilibrio e serenità, perché smette di agire contro il flusso della propria spontanea natura.

Nella Divina Commedia, infine, rivediamo il medesimo concetto. Il viaggio nei regni dell’oltretomba è qualcosa in più rispetto a una mera visita all’aldilà: è l’allegoria del risveglio dell’anima, che compie il suo destino riconoscendo la propria identità. Mentre attraversa Inferno, Purgatorio e Paradiso, nel poeta avviene una trasformazione responsabile; la sua è un’ascesa simbolica e spirituale, che va oltre il significato letterale del testo. 
Dante si ribella, si smarrisce, ha paura: vorrebbe evitare il bosco oscuro e intricato che Virgilio gli indica, perché è l’ingresso in uno stato di caos e confusione. 
Ma l’attraversamento della selva è una prova fondamentale, necessaria a chi prende coscienza di sé e si ritrova dopo lo smarrimento. 
Tentare di sottrarsi non conduce a niente; la vera libertà si conquista smettendo di lottare e iniziando a nuotare nel senso della corrente. O, per metterla con l’autore, a soggiacere a maggior forza e a miglior natura. 


C’è chi mi ha tacciata di buonismo per aver cercato una matrice comune tra le tante visioni del mondo. Ma non si tratta affatto di questo: tento invece di riconoscere una radice condivisa, su cui poggia lo scibile umano nel suo complesso.
Magari le parole cambiano e i simboli sono diversi; ma alla fine è l’anima che detta legge. È lei a riconoscere con lucidità ciò che è autentico, al di là delle forme che scegliamo per esprimerlo.

Nota: questo pezzo deve molto alle idee di C.G.Jung e di Giorgia Sitta.





mercoledì 16 luglio 2025

30. CAPITOLO TREDICESIMO

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Non mi accorgo di come la mia mente sia confusa fino a quando, una mattina a colazione, Milo rievoca con nostalgia la tartare gustata qualche settimana fa al ristorantino sul molo. Lì per lì mi coglie impreparata: “Che tartare?” domando meravigliata imburrando il pane, e dallo sguardo che mi restituisce afferro la verità al volo: la chimica sta avendo la meglio sui miei neuroni. Mi osserva guardingo, poi cerca di buttarla sullo scherzo: “E su, che memoria corta che hai, al mare ti sei sparata mezzo chilo di tonno! Non so come fai a mantenerti tanto secchina.”
“Non era mezzo chilo, e comunque ne hai rubato la metà.”
“Io?”
“Tu” rispondo sprezzante, nel tentativo – vano - di mostrare noncuranza. Ma subito mi concentro sul piatto servito dal cameriere quella sera, per assicurarmi di visualizzarlo ancora; con un po’ di sforzo riesco a risentirne perfino il gusto. Delizioso. Rincuorata – e, a dispetto di tutti i suoi discorsi, noto che lo è anche Milo – inizio a passare in rassegna il resto, ricordi che mi premono molto più di una semplice cenetta romantica: il volto di mia madre poco prima di morire, il momento in cui un affascinante sconosciuto mi rivolse la parola al Temet Nosce, rivelandomi di essere il leader di uno dei gruppi della serata, la trepidazione per la prima presentazione organizzata in libreria dal mio precedente editore. C’è tutto, ogni pezzo del mosaico è al proprio posto, le facce, i gesti, le mie emozioni. Ma queste sono immagini secolari, tenaci, ormai parte radicata di me; ho il sospetto che i problemi riguardino piuttosto gli ultimi mesi. Rifletto un istante: con la capacità innata che ho di esporre gli eventi, forse basterebbe procurarsi un quaderno e buttar giù qualche riga, tanto per avere la certezza di non perdere per strada nessun particolare interessante. Ma accantono l’idea in fretta. Non posso essere sicura che rileggendo un diario proverei le stesse intense sensazioni di una volta, la potenza del ricordo è un altro paio di maniche: che tristezza accontentarsi di un’eco sbiadita! E ci sono cose che non saprei spiegare chiaramente: la voce di Jan, per esempio, come si può raccontare una voce sopra un foglio, l’impatto che ha su tutto il tuo essere? Nel pormi questa domanda, mi sovviene che forse già ora non rammento bene alcuni dettagli della sua persona: ha la barba, giusto? Oppure non ce l’ha? E i capelli sono lunghi veramente? Per il momento lascio perdere, intenzionata come sono a tenermi su. Ci penserò più tardi. Mi rivolgo di nuovo a Milo, che nel frattempo sta recuperando dalla mensola qualcosa di peso e assai ingombrante: è la sua preziosa scacchiera in marmo artigianale, costituita da pezzi talmente raffinati che il suo acquisto ha richiesto un permesso speciale. Gli faccio presente che non so giocare, ma lui ribatte che è tempo di imparare qualche mossa: “Ti ho spiegato cento volte le regole principali, ora vediamo se mi sei stata a sentire.” 
Gli sorrido riconoscente: vuol distrarmi dal pensiero di quelle dannate fiale e dalle loro conseguenze sulla mia persona. Non credo funzionerà, ma tentar non nuoce. Milo ha sempre la risposta giusta, ogni volta è lì che si occupa di me: che diavolo farei senza?

Nascosti sotto la coperta, ci esploriamo a vicenda; sciogliersi nel suo abbraccio è un passaggio dolce come al solito, ma stavolta, accanto alla passione, avverto un altro sentimento - una tensione, rigida e mal trattenuta, che stento a definire. A dispetto di tutto il nostro amore, è proprio lei la protagonista, è lei a fonderci assieme questa notte. 
Ancora allacciati, ci eclissiamo in un sonno agitato finché la pendola, dalla cucina, rintocca mezzanotte. 

In capo a un’ora mi sveglio ansante, come se avessi corso a perdifiato. Ho avuto un altro incubo, ho perfino gridato, ma tanto non sono di disturbo a nessuno: Milo, dovendo lavorare presto domattina, ha preferito tornarsene al suo appartamento e io giaccio sola soletta nel mio lettone. 
Mi alzo, premo l’interruttore della lampada sul comodino e mi guardo angosciata nello specchio. Poi osservo le mie mani, nella speranza che il vecchio trucco possa qualcosa contro la folle corsa del mio battito cardiaco. Poco a poco mi calmo e vorrei non richiamare le immagini del sogno appena interrotto, ma quelle si fanno strada dispotiche, come un nastro su cui è impresso il più osceno dei film, di cui la mia coscienza non perde alcun fotogramma. Era tutto così vivido: via dei Salici, lunga e ricurva, la fontana monumentale dagli spettacolari intarsi, l’espressione bonaria del Maestro mentre si rivolge agli studenti fra i colori accesi del parco. 
E poi Jan col suo mezzo sorriso, soprattutto Jan, intento al lavoro dinnanzi alla tela superba. Questo e altro ancora naufragava in una pozzanghera stagnante ai miei piedi, vermiglia e densa come sangue, in cui i ricordi si mescolavano col fondo fangoso fino a dissolversi del tutto. 
Sento la rabbia che monta, non riesco a sopportarlo, non tollero che l’incubo divenga realtà.
Mi precipito al comò, apro il primo cassetto, estraggo la scatola di fiale: le conto, ce ne sono ancora così tante da utilizzare! Troppe. Scorro frenetica il bugiardino, alla ricerca di maggiori informazioni, ma sulla questione “pipì” non è spiegato quasi nulla; si allude solo superficialmente all’aspetto rossastro delle urine, raccomandando caldamente di non darci peso. 
Rievoco le parole del Dottor Cautiverio: ha parlato di una sfumatura, non di uno scuro magenta, e quella sfumatura esiste già, è leggera ma al contempo evidente. E io so bene cosa bisogna fare: sospendere momentaneamente le iniezioni, ecco la scappatoia, per riprenderle a qualche giorno dalla prossima visita, così da mantenere pressoché intatte le mie memorie senza per questo compromettere gli effetti del pigmento contenuto in quell’odioso e assurdo medicinale. 
Gongolo davanti allo specchio per un po’, immensamente compiaciuta di me stessa: non è una trovata geniale? 
A dispetto dell’onda anomala che minaccia di travolgermi, scelgo di avanzare dritta sulla strada che mi è dato di percorrere. Sono io a condurre, dopotutto, io che imposto navigatore e direzione.


domenica 13 luglio 2025

29. LA PAROLA ALL'AUTORE

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Se vi state chiedendo da dove mi arrivi l'ispirazione per scrivere, la risposta alla vostra curiosità è semplice: dalle normali esperienze di ogni giorno.
A tutta prima può suonare buffo, poiché l’ambientazione in cui Liz e gli altri personaggi si muovono è distopica, lontana anni luce dalla realtà che conosciamo. 
Ciò nonostante, le radici delle vicende che racconto affondano puntualmente nel quotidiano, nel mondo variegato che ci circonda - fonte inesauribile cui attingere. È sufficiente una frase buttata là per caso ad attivare l’ingegno, a dar vita a protagonisti, sentimenti e situazioni di ogni genere. 
Il serbatoio del reale è un forziere ricco, che trabocca di inestimabili tesori: perché non approfittarne?
Talvolta, ma con frequenza assai minore, lo spunto narrativo arriva dall’universo onirico. I sogni, in qualunque veste affiorino alla coscienza, sono un campo fertile e imprevedibile: frammenti di visioni notturne, ancora ben impresse al risveglio, sanno trasformarsi in stimoli eccezionali per la creatività, riuscendo a sbloccare le ali della fantasia più intorpidita.
L’originalità risiede nel nostro vivere; che sia nelle ore di veglia, che sia durante il sonno… è la vita vera a mettere in moto le potenzialità del nostro genio. Basta cogliere i comuni (ma straordinari!) fenomeni di cui siamo testimoni nell’arco delle ventiquattro ore per rendercene conto: ogni alba è l’inizio di una nuova narrazione, senz’altro migliore delle precedenti❤





venerdì 11 luglio 2025

28. ESPANSIONI

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Sotto il nome Espansioni trovate quella parte di narrazione che segue le esistenze dei nostri personaggi, ma non compare nel testo originale; perché il mondo di Liz si apre su nuovi orizzonti...


Jan e il Maestro: due strade che si incrociano
Quando ormai, vista l’ora tarda, mi consideravo al sicuro, ecco che Liz si materializza sulla porta di punto in bianco: è chiaro come il sole che il Maestro le ha svelato il nostro confidenziale trucchetto - altrimenti non sarebbe mai stata in grado di introdursi nell’atelier dopo la chiusura.
Sopra il cavalletto troneggia “Oltre la Superficie”, il mio capolavoro, la tela che sento dentro con maggiore intensità; non potrò mai realizzare un altro pezzo tanto significativo, neppure in un milione di anni, neppure in un trilione di collezioni. Questo dipinto è me, me spiccicato, la mia intera vita confessata in poco più di un metro quadro. Sconvolto, allungo una mano verso la ragazza, con la speranza di blandirla, di zittirla, di bloccare quel grido scellerato che potrebbe tradirmi irreparabilmente. Sono nudo in questo momento, un povero animale ferito e vulnerabile; ma, con mio immenso sollievo, lei non apre bocca. Però mi osserva, rivolgendomi un’attenzione tutta nuova. Appare più rispettosa, adesso che intuisce chi sono davvero, e una calda ondata di piacevole orgoglio mi pervade dalla radice dei capelli alle punta delle scarpe da lavoro.
D’un tratto, un ricordo mi si accende davanti agli occhi, una scena avvenuta diversi anni fa, ma ancora vivida in tutte le sue caratteristiche…

*

… mi trovo in riva al grande lago della Zona Cinque, con in mano un carboncino di fortuna, solo come Venere affissa all’orizzonte del tramonto. Convinto che nessuno potrà sorprendermi in questo luogo isolato, disegno frenetico su una banda di cartone, strappata malamente da un vecchio contenitore del latte. Sono così rapito dai miei traffici personali che non rilevo la presenza appena giunta alle mie spalle; è solo al suo colpo di tosse che capisco di avere compagnia. Allarmato, sobbalzo e mi volto, pronto a scontrarmi con le Squadre di Rimozione. Pronto a schizzare via, se la situazione dovesse volgere al peggio. Pronto a chinarmi per afferrare un sasso e lanciarlo al mio assalitore, se si arrivasse allo scontro fisico. Ma dietro di me c’è un innocuo, affabile signore di mezza età, un tizio eccessivamente rotondetto per corrermi dietro - e senza dubbio incapace di sovrastarmi fisicamente. 
Gli lancio un'occhiata colpevole, meditando comunque di darmela a gambe; ma quello fa roteare il bastone da passeggio e lo punta  contro il mio petto, con la speranza di bloccare la mia fuga imminente: “Giovanotto” mi apostrofa, con voce niente affatto minacciosa, “da dove esce il carboncino che nascondi maldestramente dietro la schiena?” 
Il suo sguardo è paterno e cortese, e io, abbandonata ogni logica, mi azzardo ad annunciare la verità a questo sconosciuto: “È opera mia… un processo al quale mi sono dedicato per giorni. All’inizio continuavo a bruciare il legno all’aria aperta, e i primi tentativi si sono rivelati un fiasco totale… ottenevo soltanto cenere. Ma quando ho pensato di bruciare i rametti all’interno di una latta per biscotti in disuso, il risultato è cambiato al cento per cento” concludo, soddisfatto dell’esito dei miei esperimenti. Poi, spinto dalla sete di condivisione, aggiungo: “I carboncini migliori si ottengono dal salice: lasciano un segno opaco e uniforme, sono leggeri e maneggevoli, si sfumano senza fatica! Ma soprattutto” e qui abbasso i toni, improvvisando un’aria complice, “tracciano linee della lunghezza che desidero.”
Lo scorso inverno, quando già ero stato inquadrato in Classe Otto, ho cercato di fare uno schizzo con la matita per occhi di mia madre. Il sogno di accedere al Rango Cinque era evaporato per sempre, ma io, ostinato più di un mulo, non volevo gettare la spugna. Sebbene i block notes nel nostro cassetto mostrino un taglio idoneo agli Ausiliari - parlo di insulsi rettangolini, buoni per appuntare la lista della spesa - speravo di arrangiarmi: mi sarei adattato a ritrarre minuscole illustrazioni monocromatiche. 
Ma non avevo fatto i conti con la tecnologia impiegata per produrre il kajal della Classe Otto: se tenti di tracciare una linea più lunga dello standard tollerato, il tratto svanisce come per magia, proprio come farebbe l’inchiostro simpatico; peccato che, in questo caso, il segno non torni mai visibile, neppure ricorrendo al più ingegnoso degli espedienti. Un pizzico di make up è consentito anche da noi, ma sempre in quantità irrisorie; non serve un rigo che tocchi lo zigomo per sottolineare il nostro sguardo… e, soprattutto, non devono diffondersi lapis improvvisati fra le nostre file! Le Autorità non fornirebbero mai a chi non è pittore i mezzi per realizzare arte visiva. 
Così quel giorno il Sistema era riuscito a piegarmi - ma non ero ancora sconfitto del tutto; e, finalmente, oggi ho in pugno il modo di aggirare la regola.
Non ho motivo di raccontare queste dinamiche al  rubicondo signore che mi sta davanti; ne è già a conoscenza. Ma contro ogni buonsenso so che posso fidarmi; sento che questa persona mi aiuterà, se appena ci riesce, che mi richiamerà alla vita vera. Perché mi vede come un individuo e non come un tassello all’interno di un Sistema che ci spersonalizza.
La parte rifiutata e sepolta di me potrà finalmente salvarsi dai lacci di chi desidera trattenerla nell’ombra.








 

   





martedì 8 luglio 2025

27. CAPITOLO DODICESIMO

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I giorni sul calendario passano a rilento, ma comunque scivolano via, e in men che non si dica mi ritrovo nuovamente alla scrivania del Dottor Cautiverio. 
Mi sono fatta grandi beffe della prescrizione che mi aveva fatto, ma sono stata abbastanza sveglia da procurarmi il farmaco, di cui posso produrre scontrino e fialette opportunamente svuotate. Ho con me pure il campione richiesto, se crede che stia assumendo qualcosa di illecito posso provare che ha preso un granchio. Controlli pure quanto vuole.
Lui mi osserva, risparmiandomi la sfilza di domande a cui mi aveva sottoposta settimane fa. Ha però un’aria scettica che non comprendo; è evidente che ho toppato in qualche particolare nel mettere in piedi la mia commedia. Mi sa che non sono poi la gran volpe che immaginavo.
“Cara signorina” esordisce con glaciale cortesia, “se si fosse attenuta alla cura come dice, l’urina all’interno della provetta sarebbe di una bella sfumatura rossastra. Ma lei non può saperlo, perché è chiaro come il sole che non si è degnata di leggere il foglietto illustrativo; in caso contrario, avrebbe almeno tentato di truccarla un po’.”
Idiota, mi rimprovero mentalmente, quanto sei idiota! Il dottore dice il vero, non ho mai aperto quel foglio; ma come potevo sospettare che uno degli effetti di quella roba fosse tingere la mia pipì? Non mi sognavo neppure che esistessero farmaci con un tale effetto. 
Mi passo la lingua sulle labbra e aspetto il resto trattenendo il fiato.
“Adesso le dico cosa faremo: siccome non sono cattivo, le darò un’ulteriore possibilità, a patto di non essere preso ancora per il culo. Basta con la sua sfacciataggine. Assuma la medicina e si ripresenti fra due settimane. Senza fregature, o coinvolgeremo il suo fidanzato. Buona giornata.”
Ciò detto, si avvia verso la porta, la spalanca e mi guarda con quei duri pezzi di granito che si ritrova al posto degli occhi; io mi faccio piccola piccola e scivolo fuori, spazzata via con fretta e disgusto manco fossi un insetto raccapricciante.

Guidando verso casa rimugino sulle parole del sanitario; il suo tono e la scelta delle espressioni assicurano che c’è poco da scherzare. Stavolta non sarò in grado di svicolare, come ignorare le sue disposizioni? La minaccia di coinvolgere il mio ragazzo – anche se non vedo a che titolo – mi turba enormemente. Devo mettermi in contatto con lui, avvertirlo. 

Aprendo la porta dell’appartamento, a ogni modo, scopro che sollevare la cornetta non è necessario: Milo mi ha preceduta ed è già là, in attesa, sprofondato nel pouf al centro del soggiorno. Le gambe mi tremano per il sollievo, non mi ero accorta di aver tanta voglia di saperlo al suo posto, di fianco a me: “Sei venuto.” 
“Sarei venuto dai confini della terra. So quando c’è bisogno di me. Com’è andata la visita?” chiede e io avrei voglia di sciogliermi in pianto, ma resisto alla tentazione; niente ipocrisie, per le mie miserie non ho che da incolpare me stessa. Adesso è giusto pensare a lui: “Ha detto che prenderanno contatto con te” dico, poi snocciolo tutto il resto parola per parola, fissandomi i piedi, troppo imbarazzata per sostenere il suo sguardo. Ma al termine del racconto lui rimane tranquillo – oppure nasconde l’agitazione dietro la maschera del giocatore di poker. 
“Calma. Calma” ripete, “nessuno verrà a cercarmi, ma è necessario che tu segua le disposizioni. Per il tuo bene” conclude, e ha su un cipiglio che non ammette replica. 
Mi affretto a promettere che non farò storie in futuro, che porterò a termine il trattamento “fino all’ultima boccetta” e Milo pare soddisfatto della mia sollecitudine. È tanto riconoscente al Dottore per avermi dato una seconda chance che quasi quasi lo considero magnanimo anch’io, eppure quella fiammella di ribellione che mi porto dentro non si rassegna a morire completamente: perché ricorrere a una dannata cura quando si è sani come un banco di sardine?
Esaminando la nuova scatola di fialette Olvido che Milo si è procurato, apprendiamo che il farmaco va somministrato ogni mattina a digiuno e che i suoi effetti non tarderanno ad arrivare – compreso un subitaneo miglioramento dell’umore, stando ai prodigi promessi dalle istruzioni. 
Milo si fa nuovamente avanti per le iniezioni e questa volta non posso non acconsentire. A puntura fatta, lui sembra alzarsi da un letto di spine; ampiamente rilassato, mi prepara una colazione da regina e propone una visita alla nostra biblioteca preferita.
La biblioteca si trova in centro, all’interno di un ex convento situato su più piani, dall’ultimo dei quali si gode una vista spettacolare: gli eleganti palazzi sono a portata di mano, ti illudi di poterli toccare con un dito, e di recente hanno pure aperto una caffetteria, con postazioni ad hoc per studenti e pratiche poltroncine per lettori più attempati. Quest’edificio conserva volumi a migliaia, alcuni molto antichi, altri di ultima pubblicazione; per due come noi la permanenza qui è un paradiso, spesso spendiamo ore tra i vecchi scaffali carichi. Mentre mi attardo davanti ai classici, Milo sparisce nel reparto musicale, per riemergerne dopo qualche tempo con diversi tesori fra le braccia. Mi mostra trionfante le novità che ha scovato, una inesauribile pila di libri su cui troneggia una raccolta delle mie, e io so che questo è un messaggio, il cui codice non è arduo da decifrare: non ti servono modelli da seguire o vite altrui da invidiare, sei già ricca così come sei. 
Stringendo forte i miei racconti, si avvia al banco con la tessera del prestito già fra le dita, poi torna da me, proponendo di recarci giù al chiostro: là potremo leggiucchiare tranquilli per un po’, la vegetazione fitta a farci da schermo contro il sole feroce di mezzogiorno. 

Finiamo per trascorrere ore seduti su una delle antiche panchine in pietra, lui immerso per la centesima volta nelle mie novelle, io con matita e blocchetto pronti all’uso. La serenità di questo edificio ha fatto nascere in me l’improvvisa urgenza di scrivere, ma ogni volta che attacco una frase sono costretta a tornare indietro e cancellare: dalla mia penna non escono altro che allusioni al quartiere degli artisti, ma so di non potermi permettere il più piccolo accenno. Oh, se solo esistesse un luogo, fuori dallo spazio e fuori dal tempo, una piccola stanza invisibile in cui poterli incontrare di nuovo! Ne varcherei la soglia immediatamente, anche se si trattasse di un unico pomeriggio, di poche e fugaci ore da vivere insieme. Ci sono mille cose che vorrei condividere, e altre mille che vorrei spartissero con me. Ma un posto simile non l’hanno ancora inventato, perciò continuo testarda a pensarli, a pensarli forte e poi più forte, perché… chi lo sa? magari in questo modo sapranno quanto desideri vederli, magari in questo modo riusciranno a sentirmi.


venerdì 4 luglio 2025

26. LA PAROLA ALL'AUTORE


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Zona di Comfort e Crescita Personale: perché Restare al Sicuro non ci aiuta a Evolvere
Non sarà che il nostro Milo confonda il buonsenso con la paura? Che chiami virtù ciò che, in fondo in fondo, è mero adattamento? Scuote la testa e si ritiene nel giusto, convinto di doversi proteggere: ma proteggere da che cosa? L’ombra che lo minaccia è davvero là fuori? 

La zona di comfort è quel terreno fatto di comportamenti e situazioni familiari in cui tutto è sotto controllo, in cui ci sentiamo al sicuro. È l’appiglio che garantisce la nostra salvaguardia. Si traveste da spazio idilliaco: zero stress, zero rischi, zero dispendio di energie. La zona di comfort non ammette fattori ansiogeni, per questo la difendiamo con le unghie e con i denti; ma proprio qui sta la fregatura, perché non genera nemmeno spazi per la crescita personale.
Per apprendere è necessario aprirsi alla sfida, al cambiamento, all’ignoto; è importante sviluppare nuove abilità e nuove prospettive, imparare a essere meno rigidi, meno innamorati del nostro dolce rifugio. Per la cronaca, non sto facendo lezione dall’alto delle mie competenze… al contrario, condivido la mia esperienza dalla base su cui mi vorrebbero livellata timori e titubanze!



Angoli di Conforto

Immobile

io.

Immobili

le sbarre.


Proteggono

me.

Proteggo

io loro?


Racchiudono

me.

Racchiudo

io loro?



*


Ferma

Al sicuro.

Stai sulla riva.


Se non ti immergi.

Asciutta, perdi.

I tesori del fondale.


Stai al sicuro.

Sulla riva.

Ferma.



*


Il cappio

si scioglie.

Il gancio

si spezza.


Si espande

il cerchio.

Si sfuma 

il limite.


Un’orma

sul terreno.

Appare oltre

il rifugio.


E infine, una precisazione: in ambito letterario, la mia passione è la prosa. Quando si parla di scrittura, la prosa è la mia voce naturale - con i suoi tempi, le sue pause, il suo largo respiro. Eppure talvolta, anche se non diventa mai la norma, un’emozione mi scatta dentro, priva della solita struttura ben articolata che mi ha fatto compagnia in mille racconti. E io allora, invece di fare resistenza, acchiappo carta e penna per buttare giù una manciata di righe, fotografando in modo circoscritto la mia immagine mentale. 
Questi versi, che mancano di qualsiasi metrica, non possono definirsi poesie nel senso classico del termine; ma, nella loro imperfezione, riescono tuttavia a parlare per me. Esattamente come in questo caso. Però non prendeteci l’abitudine, eh? 

Un enorme grazie a voi che mi seguite con interesse e partecipazione!❤






















martedì 1 luglio 2025

25. ESPANSIONI


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Sotto il nome Espansioni trovate quella parte di narrazione che segue le esistenze dei nostri personaggi, ma non compare nel testo originale; perché il mondo di Liz si dirama in modi inaspettati..


C'è la luna a brillare alta nel cielo, immobile sopra le tegole del mondo; tegole addormentate, tegole impaurite - tegole incapaci di guardare fuori da se stesse. 
Ma il piccolo Milo, almeno lui, è ben sveglio; vede tutto in chiaro, come un film proiettato sul grande schermo, sebbene le luci dell’abitato risultino spente. Perfino i lampioni lungo la strada proiettano un alone meno intenso del solito, ma il bambino non se ne stupisce; sa che, per agire indisturbate, le Squadre di Rimozione creano apposta una fitta penombra in simili occasioni.
Ma quella sorta di tenebra funge anche da segnale: è un codice, per raccomandare ai cittadini disciplinati di non muoversi da casa, di badare agli affari propri. Tira aria di guai, ammonisce quel segnale.
Milo, però, non può semplicemente occuparsi del suo orticello: questa notte le Squadre colpiranno le loro stanze, verranno a prendere sua madre - che ha lanciato una sfida personale al Sistema e alle sue leggi. Per chi si espone quanto lei, la pena prevista è massima: l’attende la reclusione, forse a vita, e Milo sa che difficilmente avrà la chance di abbracciarla ancora.
Si raccontano un sacco di aneddoti sulla Struttura, molti plausibili, alcuni insensati, altri difficili da incasellare. Eppure, di una cosa Milo è più che certo: se perdi lo status decretato dalla Commissione, non c’è alcun modo di riaverlo indietro. Se vieni rimosso dalla Zona cui appartieni, non troverai grazia sufficiente a riammetterti tra le mura cittadine.
Il bambino vorrebbe urlare, abbandonarsi ai lamenti, strattonare la gonna della madre per obbligarla a restargli accanto… ma non fa nulla di tutto ciò. Il padre lo ha istruito a dovere: “Se ti lasci prendere dal panico, faranno del male anche a noi. Sii forte. Sarai un ometto coraggioso, non è vero, tesoro mio?”

*

Di regola, quando gli interventi delle Squadre prendono di mira madri con giovane prole, le Autorità provvedono a coprire il buco, inviando al domicilio in questione un genitore surrogato; ma il padre di Milo non ha la forza di compilare il modulo, e pianifica in solitaria un’esistenza differente per sé e per il figlioletto. Entrambi recitano il nuovo copione senza smarrimenti, fingendo che gli ultimi fatti siano piovuti su teste diverse dalle loro, e adattando la routine domestica al recente ménage familiare. 
Per un tacito accordo, Milo non spenderà mai una parola sull’accaduto; ma il sentimento offerto alla donna che un tempo asseriva di amarlo inizierà a mutare faccia. L’affetto cieco del passato svanirà presto, cedendo il posto a un bruno risentimento, solcato da spesse venature tossiche: perché tante imprudenze quando bastava un po’ di cautela? Perché chiedere di più quando la vita non mostrava una grinza? Dov’era andata a cacciarsi la sua tipica impronta docile e accomodante? Neppure l’iniziale declassamento era servito a farla ragionare: aveva preferito l’arresto alla solida normalità delle loro giornate. 
A queste considerazioni, Milo scuoterà il capo ogni volta - soddisfattissimo, invece, del proprio buonsenso: allineato alle politiche del Sistema, comincerà a giudicarsi addirittura virtuoso… consapevole che lei, avventata e incontentabile, chiaramente incurante di quanto poteva capitare a lui, non ha esitato un secondo a voltargli le spalle.


33. LA PAROLA ALL'AUTORE

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